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Pubblicato il Settembre 8th, 2016 | by Paolo Formichetti

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Abel Ganz – Abel Ganz (2014)

Tracklist
1. Delusions of Grandeur
2. Obsolescence
3. Spring
4. Recuerdos
5. Heartland
6. End of Rain
7. Thank You
8. A Portion of Noodles
9. Unconditional
10. The Drowning

Etichetta Abel Records

Durata 67’50”

Personell

Stuart “Mick” MacFarlane (vocals, guitars) ● Denis Smith (drums, vocals) ● Stevie Donnelly (bass) ● Stephen Lightbody (keyboards) ● Davie Mitchell (guitar)

La cosiddetta “rinascita” del progressive, avvenuta all’inizio degli anni ’80, aldilà dell’aura a metà strada tra l’eroico e il mitologico che la caratterizza nell’immaginario dei fan, ha avuto una portata veramente limitata rispetto ai fasti del decennio precedente. Se si escludono i Marillion, unica band ad aver assunto notorietà mondiale, il resto dei gruppi che hanno fatto parte della scena new prog inglese si sono ritagliati ruoli assai più limitati ancorché dignitosissimi (Iq, Pendragon, Pallas), mentre altre band hanno avuto un successo limitato persino tra gli appassionati (per non parlare di chi al traguardo del primo disco non c’è mai arrivato). È il caso degli scozzesi Abel Ganz, autori negli anni ’80 di tre album autoprodotti ed esibitisi più volte al mitico Marquee di Londra ma che, complice l’abbandono del frontman Alan Reed (passato in forza ai Pallas) e poi di altri membri storici, sembrarono aver definitivamente abbandonato le scene più o meno a metà degli anni ’90. In maniera inaspettata gli Abel Ganz risorsero dalle ceneri nel 2008 con un nuovo lavoro che riscosse un discreto successo di critica e che vedeva la partecipazione di vari membri della line up originaria. La formazione degli Abel Ganz che ha inciso questo omonimo CD, non vede nessun membro storico della band tra le sue fila anche se ha avuto una sorta di “benedizione” da parte dei “veterani”. E la cosa è comprendibile dal momento che si tratta veramente di un ottimo lavoro, in cui il classico new prog genesisiano si fonde con atmosfere folk e pastorali grazie all’ampio uso di fiati, strumenti acustici e armonie vocali particolari. Di notevole qualità artistica è la lunga, elegante suite Obsolescence, che non annoia mai nei suoi venticinque minuti di durata ma degne di nota sono anche le restanti composizioni: gli intermezzi acustici Spring e A portion of noodles, la dolce Recuerdos (con tanto di ottoni stile mariachi), la quasi new age Heartland, la folkeggiante Thank you (che sembra una outtake dei Notting Hillbillies di Mark Knopfler). In definitiva corre l’obbligo di fare tanto di cappello a una band che tra mille difficoltà è riuscita, dopo un trentennio abbondante e pur con tanti cambi di formazione, a realizzare un disco di simile livello qualitativo, sperando possa godere di un minimo di fortuna in più nel prossimo futuro.

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