Live report

Pubblicato il Luglio 6th, 2018 | by Ed Pisani

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DAVID BYRNE – Gent Jazz Festival 29/6/2018

Immaginate un palco su cui appaiono quasi per magia dodici (12) musicisti tutti in abito grigio abbottonato, camicia grigia abbottonata, e scalzi… In costante movimento, con una coreografia minimalista ma efficace, e un signore alto e dinoccolato dai capelli bianchi che tiene tutti a ritmo e va in giro con un cervello (di plastica, tranquilli) in mano per spiegare quanto siano infinite le possibilità di ciascuno di noi di pensare, inventare, avere sentimenti.

Attenzione ai dettagli: ci sono quattro batteristi/percussionisti, chi con la grancassa, il rullante, i tom in spalla, che seguono gli altri musicisti e coristi in piroette e formazioni geometriche perfette. Scusate il confronto sciocco, ma mi ha fatto pensare al Barcellona di Guardiola più che ad una band on stage. E poi il ritmo della musica: ci arrivo subito, anche se non ho le parole giuste per raccontarvelo. Non credo che nessuno abbia saputo mai raccontarlo bene per i Talking Heads e tantomeno per David Byrne: pan-etnico, pan-stilistico, elettro-funk addirittura. Non vi annoio con le etichette, ma vi suggerisco di (ri)ascoltare – tanto per riscaldarci con qualcosa di facile – Once in a Lifetime, e Burning Down the House in versione live (cioè a volume alto). Non riesci a non muoverti a ritmo, quasi involontariamente, a non seguire tutti i dettagli del basso funky, delle tastiere che colmano tutti i possibili spazi vuoti, della voce di David Byrne, dissonante e a tratti monocorde, che poi si apre in cori ed armonie coinvolgenti. Senza ripetere inutilmente quello che trovereste su David Byrne in Wikipedia, mi piace ricordare che ha vinto un premio Oscar per una colonna sonora, ha collaborato con artisti non “semplici” come Brian Eno, Fatboy Slim, St. Vincent, Arcade Fire. Le produzioni non si contano, in particolare con la sua etichetta Luaka Bop, molto world music. Vi ricordate Paolo Sorrentino, la sera del suo Oscar, quando ringrazio’ Fellini, Maradona, e i Talking Heads per essere sua fonte di ispirazione?

L’ultimo progetto di David Byrne è uscito quest’anno e si chiama AMERICAN UTOPIA. Quasi tutti i brani sono stati eseguiti in concerto, con soddisfazione del pubblico che apprezza, per cosi dire, l’originalità nella continuità. Decisamente un disco bello e sofisticato, vicino alle origini musicali di David Byrne ma arricchito di nuove esperienze, di arrangiamenti ricercati. Provate a iniziare l’ascolto con Every Day is a Miracle, e poi I Dance Like This… se lo spunto vi è sembrato interessante, tutto il resto non vi deluderà. Pubblico ipnotizzato, a migliaia, me incluso. Non è stato possibile distrarsi, smettere di ballare, perdersi una nota durante le quasi due ore ininterrotte di concerto. Ne abbiamo visti diversi, ma francamente il performer che conquista letteralmente tutti è uno su cento… Avessero deciso di suonare altre due ore, dubito che la gente sarebbe andata via. Anzi, alla fine è stato come quando esci dall’apnea; ricominci a respirare a fatica, cerchi di ricordare com’era prima di iniziare e come sarà dopo. Quasi dieci minuti di applausi scroscianti, e David Byrne si è divertito, come tutta la band, e rideva e ringraziava. Quasi non credesse che è veramente bravo ed amato da tanti.

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