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Pubblicato il Ottobre 4th, 2016 | by Paolo Carnelli

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Marillion – F.E.A.R. (2016)

Tracklist

El Dorado

Long-Shadowed Sun
The Gold
Demolished Lives
F E A R
The Grandchildren of Apes

Living in Fear
The Leavers

Wake Up In Music
The Remainers
Vapour Trails in the Sky
The Jumble of Days
One Tonight

White Paper
The New Kings

F*** Everyone and Run
Russia’s Locked Doors
A Scary Sky
Why is Nothing Ever True?

Tomorrow’s New Country

Etichetta EarMusic/CD

Durata 68’03”

Personell
Steve Hogarth (vocals, keyboards) ● Mark Kelly (keyboards, backing vocals) ● Ian Mosley (drums, backing vocals) ● Steve Rothery (guitars, backing vocals ● Pete Trewavas (bass guitar, backing vocals, guitars)

C’è un momento di svolta nel nuovo album dei Marillion, proprio in apertura: il cinguettio degli uccelli accoglie un arpeggio di chitarra acustica, su cui Steve Hogarth poggia con naturalezza la sua voce. Peccato che tutto duri il tempo del battito di ali di una farfalla, prima che la nebulosa sonora a cui la band inglese ci ha abituati da tempo si materializzi e prenda il sopravvento. Più che un limite, quello dei Marillion è diventato un marchio di fabbrica, un modus operandi: i brani presenti nel disco sono il frutto di lunghe improvvisazioni in studio e di un lavoro interminabile in fase di taglia e cuci, alla ricerca di un filo tra le parti che non sempre riesce ad affiorare con la necessaria nitidezza. Il ricorso al formato suite (ce ne sono ben tre nell’album) è quindi dettato da un’esigenza logica e funzionale, ancor prima che artistica: terreno ideale per accogliere e far germogliare lo stream of consciousness, l’agglomerato di suoni e suggestioni presente nella mente dei musicisti. Le note si dispiegano senza soluzione di continuità, dando vita a immagini sfocate, talvolta crepuscolari e sottoesposte, pronte a lasciare il posto a momenti di vera e propria euforia, esplosioni sonore con cui è facile entrare in sintonia emotiva. A condurre le danze sono ancora una volta Steve Hogarth e Steve Rothery, con il tastierista Mark Kelly a pescare a piene mani dall’universo floydiano (il piano elettrico all’inizio di El Dorado/The Gold è l’esempio più eclatante) ma anche dall’estetica pop degli anni ’80 (Tears for Fears, Peter Gabriel, Talk Talk, Simple Minds). Un lavoro elegante e rotondo, il suo, ma privo di impennate che spezzino l’egemonia dei due Steve, regalando qualche sorpresa all’ascoltatore, la cui attenzione va un po’ scemando con il procedere dell’ascolto. Le notizie che ci giungono ci parlano di un accoglienza molto calorosa da parte del pubblico e di un successo commerciale quasi senza precedenti, anche se in realtà F.E.A.R. non si distacca molto da tutto ciò che i Marillion hanno pubblicato negli ultimi 27 anni. A volte è solo questione di avere pazienza e saper cogliere le congiunzioni astrali favorevoli. Complimenti alla band e in particolare all’infaticabile manager Lucy Jordache per essere riusciti a farsi trovare al posto giusto nel momento giusto.

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