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Pubblicato il Agosto 22nd, 2016 | by Paolo Carnelli

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Massimo Forni – Lungo le vie del prog (2010)


Casa editrice Palladino Editore/Libro

Pagine 230

Tra i (non molti) testi in commercio che affrontano e analizzano specificatamente e globalmente il fenomeno del rock progressivo italiano, quello di Forni rappresenta a tutti gli effetti una piccola novità, in quanto ha l’indubbio pregio di non fermarsi all’analisi di quanto è accaduto nella prima metà degli anni settanta, ma di provare a scavallare verso i due decenni successivi, individuando nomi e titoli di una scena musicale che ha saputo, pur lentamente e faticosamente, risollevarsi dall’oblio e rigenerare se stessa. Soprattutto, Forni ha il merito di soffermarsi sulle cause e gli effetti di un tracollo le cui cause, oltre che nel mutamento dei tempi e delle mode, sono da ricercarsi anche a quei «fattori intrinseci […] per cui molti gruppi non si accorgono di ripetersi e continuano a suonare senza riuscire a cogliere gli elementi di novità, le nuove opportunità che possono assicurare una proficua evoluzione della propria proposta». A fare da “nume tutelare” e al tempo stesso da cartina di tornasole nel percorso e nei ragionamenti di Forni, non possono che essere Le Orme, le cui opere sono ampiamente citate e prese in esame nel volume: ciò dipende non solo dalla passione di Massimo per il gruppo veneziano, ma soprattutto dal fatto che le varie fasi che hanno caratterizzato l’attività e la produzione della band di Pagliuca, Tagliapietra e Dei Rossi risultano assolutamente paradigmatiche del percorso tra splendore, mutamento, compromesso e rinascita che ha vissuto l’intero movimento prog italiano dagli anni settanta a oggi. Strutturalmente, Lungo le vie del prog non si propone come un catalogo di copertine, recensioni e stellette, ma come una vera e propria raccolta di brevi saggi che si leggono come un racconto: è facile appassionarsi agli eventi grazie al tono rigoroso ma colloquiale dell’autore, e spesso si ha la tentazione di posare il libro per andare a riascoltare i passaggi di qualche vecchio disco. Il risultato è un bell’affresco, una visione inevitabilmente a volo di uccello, ma priva di sbavature e di approssimazione; volendo trovare un neo, va detto che forse qua e là qualche nuova testimonianza avrebbe giovato (i due volumi del Mirenzi sono fin troppo citati), ma se questo rende il testo di Forni consigliato soprattutto ai neofiti, è comunque innegabile che possa rivelarsi come un utile strumento di ripasso e approfondimento anche per i cultori del genere.

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