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Pubblicato il Novembre 15th, 2016 | by Antonio De Sarno

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PAOLO CONTE – Milano, Teatro degli Arcimboldi, 12/11/16

La cosa che più colpisce di un concerto di Paolo Conte è la totale mancanza di dialogo con il pubblico in sala, neanche un “grazie” o un “arrivederci” (tanto, si sa che il pubblico accorrerebbe a prescindere).

Un pubblico sorprendentemente vario, in realtà, che sempre più si stringe attorno ai giganti ancora in vita del novecento come in un rituale liturgico/scaramantico, tra una sbirciatina alle notifiche sullo smart-phone e un aggiornamento dello stato. E’ il tedio dei tempi veloci che viviamo, che comprendono, perché no, il litigio in ascensore per raggiungere il proprio posto di invisibile spettatore/formica nel grande spettacolo pre-confezionato per noi. E il repertorio? Il repertorio è quello di sempre, forse non serve neanche ricordarlo: Sotto Le Stelle Del Jazz, Aguaplano, Max… compreso l’obbligo di suonare Via Con Me anche come bis. Tutto rigorosamente diviso in due tempi, con le luci accese in sala durante l’intervallo, come a teatro. Ovvio, dato che siamo a teatro. Un teatro/monumento tutto esaurito, per due fredde sere milanesi; a occhio e croce quasi cinquemila persone, cinquemila storie diverse. Ben due volte durante la serata qualcuno osa gridare ‘bravo!’ prima di tornare nel suo silenzio (che vergogna!). I dieci (impeccabili) elementi della band (citiamo per il puro gusto di farlo Nunzio Barbieri alle chitarre e Luca Velotti ai sax) non sbagliano una nota, così come l’Avvocato non esce mai dal personaggio e i tempi vengono rigorosamente rispettati. Nessuna sorpresa, nessun inciampo, nessun cenno al disco da “promuovere” (che volgarità!), Amazing Game su etichetta Decca (…), una raccolta di brani strumentali registrati durante una carriera ormai lunghissima, e tanta, troppa, eleganza formale. Aleggia nell’anima la grande tristezza per la scomparsa di Leonard Cohen, quasi coscritto dell’astigiano, appena qualche ora prima, e si sente il bisogno di un segnale per ricordare un’altra voce del novecento sottratta dal tempo bastardo. Niente, nemmeno quello.

(foto Antonio De Sarno)

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