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Pubblicato il Settembre 11th, 2016 | by Paolo Carnelli

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Steve Hackett – Wolflight (2015)

Tracklist
1. Out of the Body
2. Wolflight
3. Love Song to a Vampire
4. The Wheel’s Turning
5. Corycian Fire
6. Earthshine
7. Loving Sea
8. Black Thunder
9. Dust and Dreams
10. Heart Song

Etichetta Century Media /CD

Durata 55’36”

Personell
Steve Hackett (electric guitar, acoustic guitar, Arabian lute, twelve string, lead vocals) ● Roger King (keyboards & programming) ● Rob Townsend (sax, duduk) ● Nick Beggs (bass & stick) ● Amanda Lehmann (harmony vocals) ● Gary O’Toole (drums). Guest musicians: Malik Mansurov (tar), Sara Kovas (didgeridoo) Chris Squire (bass on Love Song to a Vampire), Hugo Dagenhardt (drums on Dust and Dreams)

“La luce del lupo” è quella che illumina il giorno poco prima del sorgere dell’alba, in un momento particolare che per chi lo vive assume contorni indefiniti e quasi mistici. Proprio in questo quadrante orario, Hackett si è dedicato alla composizione delle dieci tracce che fanno parte di Wolflight, cercando di lasciarsi guidare dall’intuito e dall’istinto piuttosto che dalla logica e dalla ragione. A quattro anni da Beyond the Shrouded Horizon prosegue quindi il percorso dell’artista inglese verso una dimensione musicale ancora più personale: l’ex Genesis decide infatti di spaziare tra generi e atmosfere completamente differenti, se non antitetiche tra loro, mescolandole in modo decisamente avventuroso e inusuale, ma quasi sempre convincente e affascinante. Si parte in modo convincente con i due minuti di Out of the Body, baldanzosa ouverture sinfonica che permette all’elettrica di Hackett di duettare con i violini in una serie di potenti unisoni strumentali, ma è con il passaggio d’arpa che collega il brano d’apertura alla title track che il sipario si apre su uno scenario ben più stimolante: il didgeridoo e le note dell’oud annunciano infatti l’ingresso in territori di confine, tra suggestive speziature che la chitarra acustica accoglie e rilancia su territori prima classici, poi folk e poi rock, in un’ideale staffetta musicale. Negli otto minuti di Wolflight c’è tutto l’Hackett attuale, compositore e alchimista, che assembla una dopo l’altra cellule differenti, concedendosi pure un emozionante assolo di chitarra elettrica su un tempo di bolero. La successiva Love Song to a Vampire è senza dubbio il brano che al primo ascolto rimane più impresso: una ballata cupa e solenne che richiama alla mente nella cadenza e nell’apertura corale del ritornello addirittura In the Court of the Crimson King, non a caso uno dei pezzi dei King Crimson che Hackett aveva riproposto dal vivo nel 1996 nei celeberrimi Tokyo Tapes. Da segnalare la presenza al basso di Chris Squire, in una delle ultime apparizioni prima della sua prematura scomparsa. Il viaggio sulle montagne russe prosegue con The Wheel’s Turning, che riprende le atmosfere misteriose tipiche di un vecchio parco dei divertimenti, e con Hackett che torna a cimentarsi con profitto anche con il suo primo strumento, l’armonica a bocca. Non si fa in tempo ad apprezzare la leggerezza della melodia vocale, vicina alle strade battute da Moody Blues e Barclay James Harvest, che Corycian Fire ci riporta nuovamente nelle terre d’oriente, dove i tamburi e il duduk, strumento a fiato dal suono ipnotico e malinconico, preparano il campo a una sezione corale da brividi. Toccato il suo zenith, l’album ha un calo quasi fisiologico. Tutto rallenta e le traiettorie si fanno più prevedibili, qualche soluzione armonica si ripete, le concatenazioni risultano meno marcate ed efficaci, le scelte timbriche più di maniera. Nella sequenza finale, rappresentata da Dust and Dreams e Heart Song, la melodia torna appannaggio della chitarra elettrica, che nella traccia conclusiva si scioglie in un arpeggio molto vicino a quello di Afterglow dei Genesis, E a proposito di Genesis… aspettando il terzo capitolo di rivisitazioni genesisiane da parte di Hackett, Wolflight entra di diritto tra gli episodi più riusciti della sua discografia solista.

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