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Pubblicato il Agosto 31st, 2016 | by Vincenzo Giorgio

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The Winstons – The Winstons (2016)

Tracklist
1. Nicotine Freak
2. Diprotodon
3. Play With The Rebels
4. …On A Dark Cloud
5. She’s My Face
6. A Reason For Goodbye
7. Dancing In The Park With A Gun
8. Tarmac
9. Viaggio nel suono a tre dimensioni
10. Number Number

Etichetta AMS/CD

Durata 49’24”

Personell
Linnon Winston (drums, keyboards, vocals) ● Enro Winston (keyboards, woodwinds, vocals) ● Rob Winston (bass, electric 12 string guitar, vocals) ● Xabier Iriondo (soundmetak) ● Roberto D’Azzan (trumpet)

Partiamo dall’attacco di Nicotine Freak, non solo la prima traccia ma, potremmo dire, suggestivo biglietto da visita di questo omonimo album d’esordio di tre vecchie conoscenze dell’indie italico: il bassista Roberto Dell’Era degli Afterhours, il polistrumentista – tastiere e fiati – Enrico Gabrielli dei Calibro 35 e Lino Gitto batterista degli UFO. Un attacco, dicevamo, sospeso nel cielo sopra Canterury (soprattutto dalle parti del Wyatt del primo Matching Mole e dell’inarrivabile Rock Bottom) che, però, odora anche di armonizzazioni proto-Genesis nonché dell’hammond à la Keith Emerson e, soprattutto, vicino agli Egg di Dave Stewart. Tuttavia la cosa che maggiormente colpisce è quella sorta di mistura di “prog totale” che i tre sanno cucinare cogliendo (con ottima capacità di sintesi nonché di storico distacco) lo spirito comune che attraversava quell’ancestrale (e pare non ancora esaurita) onda creativa. Il tutto però affrontato con un approccio talmente fresco ed energico da impedire al dejavu di trasformarsi in bieca nostalgia vintage… Ed è così che, da questa sghemba alchimia, nascono piccoli gioiellini come la proteifome Diprotodon, fosforicamente giocata su un incipit smaccatamente Matching Mole, o la dolce Play With The Rebels, che, grazie al flauto mcdonaldiano di Gabrielli, si mostra più disponibile a concessioni melodiche. Se – giocando con gli alambicchi di Alifib e Moon in June – il buon vecchio Robert torna a far capolino in On A Dark Cloud evolvendo in qualcosa di floydiano, in She’s my face sono i Soft Machine di Volume II ad essere evocati, laddove a un ipnotico riff psichedelico (Maybe…Hibou Anemone & Bear)si fonde un cantato veramente efficace. Ma, davvero, sono tutti i quasi cinquanta minuti di questo delizioso lavoro a risultare non solo convincenti ma, soprattutto, mai banali. Ed è così che nelle nostre incredule orecchie si alternano le mille sfaccettature di A Reason For Goodbye, lo psyco-jazzy di Dancing In The Park With A Gun, il pastiche dadaista à la Picchio del Pozzo di Tarmac, con l’organo di Gabrielli ad evocare paradisi che ritenevamo oramai irrimediabilmente perduti; il dolente incedere wyattiano (Muddy Mouth?) della meravigliosa Viaggio nel suono a tre dimensioni per poi concludere in gloria con la caleidoscopica Number Number, degno epilogo di un lavoro davvero riuscito e, per molti versi, sorprendente.

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