Pubblicato il Novembre 2nd, 2020 | by Lorenzo Barbagli
0Thinking Plague – Il rock pensante
I Thinking Plague si formano a Denver, Colorado, intorno al 1982 per iniziativa del chitarrista Mike Johnson (che ad oggi è l’unico superstite della formazione originale) e del polistrumentista Bob Drake con il quale suonava già dal 1978. Con sette album in studio all’attivo e una carriera artistica che all’incirca è arrivata a ricoprire quasi quarant’anni di attività, i Thinking Plague hanno affrontato molteplici cambi di organico, ma sono diventati la punta di diamante della nuova avanguardia statunitense, operando in un periodo storico come quello degli anni ’80, avverso al tipo di musica che proponevano, molto influenzata dal Rock in Opposition e dalle correnti più sperimentali del progressive rock.
…A THINKING PLAGUE (Endemic Music, 1984) In un perfetto regime di autoproduzione l’esordio …A THINKING PLAGUE viene stampato in sole cinquecento copie, registrato con un budget ridotto e con la copertina realizzata artigianalmente con lo spray. La prima delle tante vocalist che si susseguono nella line-up è Sharon Bradford, che ha alle spalle studi classici. Naturalmente la musica si ispira al movimento RIO, con Art Bears e Henry Cow in testa, ma ciò che emerge neanche troppo velatamente è un gusto per la moderna avanguardia neoclassica. La forte personalità dell’ensemble affiora nelle tracce più estese, Possessed e Thorns of Blue and Red/the War, che portano in dote influenze dal progressive rock angolare dei King Crimson e le inclinazioni jazz della scuola di Canterbury. Ma nell’esperimento non mancano comunque le forme dell’estetica musicale contemporanea: I Do Not Live e How to Clean Squid sono un’escursione nel post punk visto dalla prospettiva dell’avant-garde.
MOONSONGS (Endemic Music, 1986) Cercando di dare alla band un impatto sonoro più potente e incisivo, Johnson e Drake si mettono in pausa temporaneamente in cerca di nuovi membri. I due volevano mantenere un’attitudine low budget, ma che suonasse al contempo come un prodotto di alta fedeltà. Il nuovo avvio viene ufficializzato con l’arrivo della cantante Susanne Lewis, scelta grazie a una voce con un’attitudine personale e fuori dagli schemi. Il retaggio punk della Lewis modella il carattere schizofrenico di MOONSONGS con Warheads a rivestire il ruolo di primo classico: un pezzo di grande impatto che alterna chitarre impazzite, rumori inquietanti e la voce della Lewis, al limite della dissonanza. Nel sound vengono incorporati beat elettronici e ritmiche sincopate, tanto che Etude for Combo si può immaginare come una versione più sperimentale dei King Crimson degli anni 80. Con le derive spaziali e psichedeliche di Collarless Fog That One Day Soon e Inside Out l’album si sposta verso lidi decisamente più aleatori, coronati nella title-track: un’orazione pagana di quindici minuti con loop di percussioni tribali e la Lewis che canta come se stesse salmodiando un gospel allucinato.
IN THIS LIFE (ReR Megacorp, 1989) Un nuovo cambio di organico porta in dote al gruppo il tastierista con studi classici Shane Hotle e il sassofonista Mark Harris, due pedine fondamentali per la crescita artistica mostrata nel terzo album IN THIS LIFE, raccogliendo i frutti seminati e smussando le imperfezioni dei lavori precedenti, fino a contenere le versioni remixate di Moonsongs e Possessed, come a voler certificare una raggiunta professionalità anche a livello produttivo. Il legame devozionale con la scena RIO si concretizza grazie all’interessamento del batterista Chris Cutler (Henry Cow) tramite la propria etichetta e alla partecipazione di Fred Frith alla chitarra nel brano di punta Organism (version II), un moderno prototipo di divagazioni in stile Henry Cow con un inedito richiamo a esotismi mediorientali. Ma questa volta i Thinking Plague lasciano ancora più spazio alla dissonanza e all’aleatorietà, tenendo bene in mente la lezione delle ouverture dei King Crimson nelle nervose trame di Love e nella litania Lycanthrope, le quali ricostruiscono tale materia in veste personalizzata con un accento neoavanguardista. Anche il canto della Lewis si fa meno punk e ancora più intangibile e asimmetrico, sia che passi attraverso la composizione di suo pugno The Guardian, sia nei momenti in un certo modo più lineari come la ballad non convenzionale Fountain of All Tears.
IN EXTREMIS (Cuneiform Records, 1998) Dopo una lunga pausa causata da cambi di line-up, i Thinking Plague si stabilizzano con il batterista Dave Kerman (5UU’s), la cantante Deborah Perry e i polistrumentisti Dave Willey e Jon Stubbs (Hamster Theatre). IN EXTREMIS è forse il capolavoro assoluto dell’arte Thinking Plague, dove la musica si fa più stratificata, orchestrale e schizofrenica, fondando una via di contatto tra due diverse tipologie di linguaggi progressivi. Pur rimanendo fedeli all’estetica RIO, si possono rintracciare idee legate al filone principale del progressive rock sinfonico: Dead Silence e Behold the Man sembrano una versione free jazz dei King Crimson, le caotiche variazioni di The Weird Wind richiamano i virtuosismi degli Yes allo stesso modo dei 5UU’s, mentre le complesse trame di The Aesthete si ricompongono come i puzzle dei Gentle Giant. Su Kingdome Come c’è un po’ di tutto: il mellotron barocco dei Genesis e l’astrattezza dei Van Der Graaf Generator. L’altra suite Les Etudes d’Organism gioca le stesse carte, aprendosi a più prospettive e incastonando un folle tema circense tra un incipit aggressivamente hammilliano e un finale con crescendo genesisiano. Proprio la lucidità della direzione musicale e la variegata ricchezza di trame fanno di IN EXTREMIS uno dei lavori più significativi della scena RIO.
A HISTORY OF MADNESS (Cuneiform Records, 2003) Il lavoro sull’album successivo si protrae per due anni e solo nel settembre 2003 viene presentato A HISTORY OF MADNESS, testimonianza di una sorta di mutazione da gruppo rock a ensemble neoclassico. Le tecniche di collage sonoro vengono raffinate ancora di più, messe a punto sulla fusion psichedelica di Blown Apart e di Lux Lucet e poi ancora più emancipate fino a farsi prendere la mano su The Underground Stream. Il loro contrario è rappresentato dai lineari quadri siderali astratti (Least Aether for Saxophone & Le Gouffre), animati talvolta dal contrappunto dei fiati (Our “Way of Life” and “War on Terra”). Se prima la Perry interveniva con dissonanze aggressive per sintonizzarsi sulla stessa linea della musica, ora canta in modo più disteso, ascetico e, in pezzi come Rapture of the Deep e Consolamentum, addirittura astrale.
DECLINE AND FALL (Cuneiform Records, 2011) Una nuova pausa di nove anni per arrivare a DECLINE AND FALL che apre un nuovo capitolo nella storia della band con l’entrata in organico dell’attuale cantante Elaine Di Falco. Il lungo periodo di fermo non sembra però avere giovato a Johnson per riorganizzare le proprie idee, presentando un lavoro più rock e tangibile che convoglia l’elemento sperimentale delle composizioni esclusivamente in un contrasto apparentemente dissonante tra la fusion, avant-garde strumentale e la voce della Di Falco, come se il canto e la musica fossero due entità disgiunte. Il risultato va a penalizzare soprattutto le musiche prive di un’impronta riconoscibile, rendendo le tracce abbastanza omogenee.
HOPING ANGAINST HOPE (Cuneiform Records, 2017) HOPING ANGAINST HOPE parte dalle astrattezze sonore di IN THIS LIFE e vi incorpora l’impronta delle forme più intellettuali del novecento classico tradotte in un linguaggio rock. Le radici concettuali risiedono profondamente nel momento storico che stiamo vivendo e riflettono la rabbia, il rimorso e la nostalgia che il gruppo vuole trasmettere, anche se inizialmente avrebbero dovuto riguardare aspetti maggiormente positivi rispetto al precedente lavoro. Sul piano strumentale viene concepita come un’opera più diretta, dove anche le voci polifoniche realizzate da un unico strumento possono essere comunque suonate dal vivo con lo stesso effetto. Per la prima volta è presente anche un altro chitarrista accanto a Johnson, nella persona di Bill Pohl (The Underground Railroad) il cui stile risulta più spigoloso e incline a virtuosismi, particolarmente riconoscibile durante Thus Have We Made the World, pezzo tensivo e cameristico. Johnson si concentra nella stesura di partiture ricche di contrappunti e fughe strumentali, la cui puntigliosità è ben rappresentata nelle trame di chitarra, sax e fisarmonica di The Echoes of Thier Cries. Commuting to Murder e The Great Leap Backwards vengono affrontate come appartenessero al repertorio di un esoterico ensemble da camera elettrico, che si avvale del canto estraniante della Di Falco. Ma i veri tour de force sono la title-track e A Dirge for the Unwitting: due imponenti composizioni dove le dissonanze si distendono su lunghi bordoni e si sposano con lied atonali che spostano il confine dal rock verso la musica colta.