Isole

Pubblicato il Gennaio 28th, 2022 | by Paolo Carnelli

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Alessandro Corvaglia (La Maschera di Cera, Delirium, Mr. Punch)

Partiamo da una premessa “metodologica”: se mi si chiede di elencare 10 dischi da portare su di un’isola deserta – dove non so se rimarrei permanentemente o temporaneamente (e fa differenza!) – i miei sensori si spostano istintivamente su ciò che mi provoca vibrazioni, emozioni, serenità assoluta, piacere, sogno, etc. Piuttosto ovvio, quindi, che non necessariamente ciò si identifichi con una qualità oggettiva “da pietra miliare” o con un ruolo determinante nell’evoluzione della Storia della Musica. Ogni disco scelto è intimamente connesso a momenti e significati particolari della mia vita. E d’altronde, come è stato scritto nelle note di presentazione di OUT OF THE GATE, io vivo la musica in maniera viscerale e niente è più vero di ciò, il che risulterà chiaro anche dalle descrizioni. Passiamo quindi all’elenco, puramente casuale e non in ordine particolare di gradimento….

ABBEY ROAD – The Beatles (1969)
Ho sempre vissuto questo album come un viaggio estremamente magico, in primis la suite che copre il lato B. Mai come in questo disco ho sentito i Fab Four avvolgermi totalmente, con idee forse già abbozzate in album precedenti ma qui definite e impiattate con continuità ed eleganza (mi viene in mente un certo paragone sequenziale fra, ad esempio, Hello Goodbye e You Never Give Me Your Money o fra Revolution e Polythene Pam). Il loro disco che ascolto di più, con diversi “giri di pista” rispetto agli altri.

MADMAN ACROSS THE WATER – Elton John (1971)
Non rinuncerei a questo disco per niente al mondo, tanto la sublime bellezza delle composizioni unita agli arrangiamenti di un immenso Paul Buckmaster e le liriche poetiche di “Cowboy” Taupin ne compongono la perfezione assoluta. Racchiude il brano di Sir Dwight da me più amato di sempre (Indian Sunset), che è solo il gioiello frontale al centro di una collana di perle immacolate e rifulgenti costituenti il climax della sua creatività. E tralasciamo quanto volte Goodbye mi ha attraversato la vita….

SELLING ENGLAND BY THE POUND – Genesis (1973)
Non può certo mancare ciò che non solo considero personalmente il quadro più maestoso dei Genesis, ma anche l’album che mi ha avvicinato a loro in modo definitivo, incrollabile e inscindibile. Registrazione magnifica, arrangiamenti ineguagliabili, un vortice di potenza già da Moonlit Knight, divenuto per me già dal 1973 una piacevolissima droga. Ed è anche un quadro di fatto, visto che sta appeso – unico caso – dentro una cornice sul muro della mia “music room”.

SINFONIA N. 6 IN FA MAGGIORE, OP. 68 – “PASTORALE” – Ludwig Van Beethoven (1808)
Il mio primo passo, da bambino, dentro la Musica Classica, in qualcosa che in modo naturale si discosta da una culla per crearne un’altra, altrettanto accogliente, ma che viene scelta. Un rifugio che rispecchia in pieno i paesaggi e le situazioni evocate, una sinusoide sonora che plana su di un lago. Dato che di dischi si parla e che questa Sinfonia ha decine di riproduzioni, mi porto la versione che ho in casa (Orchestra Filarmonica di Vienna, diretta da Pierre Monteux, RCA Victrola, 1963)!

VISIONARY – Gordon Giltrap (1976)
Mai e poi mai potrebbe mancare su quell’isola! Partire senza la sicurezza di avere accanto a me chi mi ha conquistato da più di quarant’anni, senza le sue carezze melodiche vestite di una tecnica ipnotica (ho spesso paragonato il suo suono a quello di un clavicembalo) ma mai fine a sé stessa o ridondante, senza quel viaggio che è assimilabile a un lungo sentiero fra montagne che apre decine di visioni e paesaggi mozzafiato sarebbe una condanna. Che non imporrei mai a me stesso!

RHAPSODY IN BLUE – George Gershwin (1924)
Anche se ammetto che Woody Allen mi ha aperto un’altra visuale su questa Opera immensa, il caro George occupa da sempre un posto molto particolare nel mio sviluppo musicale. Pensare a come qualcosa inizialmente nato per due pianoforti si sia evoluto fino a ciò che conosciamo assume il valore di qualcosa – per me – di irrinunciabile. Ricordo di aver fischiettato tutti i temi dell’opera sin dalle elementari, quando il primo ascolto del disco mi provocò un vero cataclisma interiore!

CLOSE TO THE EDGE – Yes (1972)
Quasi assurdo a dirsi, verrebbe con me solo per un brano! Che essendo il mio brano preferito in campo progressive da sempre (And you and I) ha un diritto sovrano di cittadinanza assoluta e un effetto di trascinamento nei confronti degli altri due. E poi, ascoltare l’intro della suite immerso nella Natura… per poi venirne scalzati entro pochi secondi. Anche questo colora la vita solitaria…

L’ISOLA DI NIENTE – Premiata Forneria Marconi (1974)
Prima che si possa pensare a una lapalissianità terminologica, di fatto quest’album ha cancellato l’impatto etereo in cui PER UN AMICO mi aveva avvolto, mettendomi faccia a faccia con delle dinamiche impressionanti. Il concerto del marzo 1974 a Viareggio fu peraltro il mio primo concerto da spettatore (a soli dieci anni) e l’energizzante shock vissuto nel momento in cui Mussida attaccò il riff iniziale della title track non mi abbandonerà mai. A loro e a questo disco il rappresentare l’Italia.

JESUS CHRIST SUPERSTAR – THE SOUNDTRACK (1973)
Il primo disco imparato completamente a memoria (sempre a dieci anni). Non aspettavo altro che i cinema di seconda visione lo riproponessero (e non era facile) per fiondarmi in platea, dove la cosa più difficile era controllarsi!! Se mai lo sviluppo di un disco è spesso assimilabile a quello di un film (e non vale solo per i concept), JCS ne è la testimonianza più immediata che io ricordi. E poi, magari, su un’isola deserta, posso ri-cimentarmi nell’acuto di Gethsemane senza timori…

OUT OF THE GATE – Alessandro Corvaglia (2021)
Potrei mai lasciare lontano un figlio nato con enorme travaglio? Sarebbe amore? Giustizia? Correttezza? Riconoscenza? Non lo penso affatto. Mi farebbe una tenerissima compagnia, ricordandomi a cosa sono arrivato, attraverso tutte le esperienze che i dischi citati precedentemente – e mille altri – mi hanno permesso di costruire e vivere. Profondamente.

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