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Pubblicato il Dicembre 27th, 2021 | by Paolo Carnelli

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Cristiano Roversi (Moongarden, Submarine Silence, Il porto di Venere)

Cristiano Roversi occupa ormai da anni una posizione molto particolare all’interno del movimento Progressive Rock italiano. Spesso aventiniano, non per scelta ma per dovere. Un dovere derivante dall’evoluzione artistica e personale che ha sempre caratterizzato, al pari della sua grande onestà, la sua produzione musicale. ROUNDMIDNIGHT (2004) dei Moongarden rimane a parere di chi scrive uno spartiacque per la scena prog italiana e uno dei dischi più coraggiosi e in anticipo sui tempi di sempre. Premiato dalla sua voglia di fare musica sempre e solo nella maniera a lui più congeniale, Cristiano è diventato negli anni anche un quotato produttore e protagonista di collaborazioni di successo come quella recentissima con Maurizio Di Tollo ne Il Porto di Venere. Dopo un lunghissimo inseguimento, sono riuscito a farmi inviare i suoi dieci dischi dell’isola deserta….

AS FALLS WICHITA, SO FALLS WICHITA FALLS – Pat Metheny & Lyle Mays (1981)
E’ difficilissimo per me riuscire a descrivere la pura bellezza di questa raccolta perfetta di composizioni “alte”, così “alte” che ogni volta che le ascolto ne rimango fisicamente paralizzato come se il muoversi o l’emettere anche solo il suono del proprio respiro potesse disturbare e spezzare questo vero e proprio incantesimo ammaliatore. La suite omonima è a mio avviso un fulgido esempio di pura creatività, senza alcun confine facilmente definibile, che va a braccetto con il “solito” gusto estremo di Pat e Lyle per l’armonia. Come non citare poi quel capolavoro pianistico nell’apertura di September Fifteenth che probabilmente (per il sottoscritto) è una delle cose più belle e struggenti mai scritte e suonate da Lyle Mays? Bellezza, maestria e perfezione.

THE LAMB LIES DOWN ON BROADWAY – Genesis (1974)
L’unico album dei Genesis che riesce a fermare il tempo strappandoti dalla vita reale per portarti in uno strano mondo pieno di giochi di parole, personaggi “duri”, oscuri e fantastici, paesaggi lisergici e atmosfere sospese di indefinibile lettura, che vanno a braccetto con sferzate di bassi distorti, mellotron urlanti e fughe solistiche di inaudita bellezza. Lo ascoltai per la prima volta in un freddo inverno di tanti anni fa immerso nel tepore del mio letto e a luci spente. Fu un esperienza disarmante e disorientante. Un album che “non finisce mai” tanto il suo finale è (volutamente?) sospeso e indefinito. Un romanzo musicale partorito da un team di grandi e illuminati scrittori di partiture progressive sotto la guida di un cappellaio matto come Peter Gabriel. Capolavoro.

SECRETS OF THE BEEHIVE – David Sylvian (1987)
Ecco come concepisco io un tipico disco da “Cantautore” attento a dosare le proprie energie e il proprio talento tra testi, voce e musica. La ricerca estetica e il rispetto verso la musica che dimostra David lo eleva ad artista completo e “alto”. Canzoni? Si, canzoni che sono opere d’arte, che sfidano le regole del “singolo facile” per regalarci una raccolta di gemme da custodire gelosamente nella propria discoteca. Per il mio modo di sentire e vivere la musica, questo è un esempio di musica pop che amo.

ON LAND AND IN THE SEA – Cardiacs (1989)
Sconvolgente venire a conoscenza che grazie a questa band di pazzi scatenati (con un talento da fuoriclasse) negli anni 80 è stato possibile coniugare tra di loro i due generi più in antitesi della storia del Rock: Punk e Rock Progressive. E tutto questo sa di “Monthy Python” in maniera irresistibile. Ironia nera che più nera non si può, sputi on stage e violenza gratuita, un attitudine punkettona iconoclasta e incontrollabile si mescolano a nonsense puro e tuffi sperimentali nella scrittura sinfonica di stampo Progressive dando alla luce uno dei pezzi più belli e monolitici che io conosca, ovvero The Ever So Closely Guarded Line. I Cardiacs non ti regalano nulla, sei tu che prima ti devi fidare (anche se non stai capendo cosa sta succedendo) e poi sperare di riuscire a trovare la giusta chiave di lettura per entrare nel loro mondo. Se questo accadrà avrete scoperto un tesoro artistico di inestimabile valore. Mi hanno letteralmente cambiato sia dal punto di vista musicale che umano.

LARK’S TONGUES IN ASPIC – King Crimson (1973)
C’è qualcosa di maledettamente oscuro in questo disco, che non si manifesta mai apertamente ma che aleggia ogni volta che si fa partire il giradischi. I suoni sono secchi, lontanissimi dal sinfonismo “liquido e magniloquente” dei loro fratelli progressivi del periodo come Genesis o Yes per esempio. Musica senza alcun confine stabilito, Crossover totale tra i generi che in fondo è l’attitudine che più rappresenta (credo) il mio modo di scrivere e suonare. La continua sorpresa tra momenti ruvidi e minacciosi alternati a magie soffuse come quel capolavoro di Book Of Saturday. Wetton e Bruford sono una sezione ritmica tanto “intellettuale” quanto macina ossa. Un Fripp capace di vedere e sentire il futuro che ha già segnato la strada a band di rock alternativo che arriveranno moltissimi anni dopo. Rock per la mente.

SONGS OF FAITH AND DEVOTION – Depeche Mode (1993)
Mi ritengo un onnivoro musicale; tendo a non avere paura dei suoni “nuovi” che regolarmente spuntano nel music biz e l’elettronica (se usata con gusto e al servizio di una scrittura nobile e ricercata) mi intriga molto. Credo che i Depeche Mode siano un collettivo di compositori assolutamente fantastico e ispirato, e questo album mi ha davvero rapito per gusto, ricerca armonica e incredibile fluidità dei pezzi. Il suono generale risulta inaspettatamente sinfonico e ricco rendendo questa raccolta di canzoni qualcosa di veramente speciale e unico nel suo genere. Pezzi come In Your Room oppure Higher e ancora Walkin In My Shoes avrei ardentemente desiderato di poterli concepire per i miei Moongarden tanto rientrano secondo me nel concetto di Rock/pop Progressivo. Ci vuole una notevole lucidità mentale per concepire tale ricercata bellezza riuscendo a farla accettare anche al grande pubblico mainstream: qui sta la grandezza dei Depeche Mode.

THE FINAL CUT – Pink Floyd (1983)
Si lo so che è più un solista di Waters che un album vero e proprio dei Floyd, ma non so che farci: quest’opera mi ha sempre profondamente affascinato e rapito per l’intensità dei testi e della musica presentata. Si lo ammetto, il suono della TV in distanza e di una automobile che ogni tanto passa vicino alle finestre di casa magari con un po’ di pioggia cadente è stato un “ambiente” nel quale mi sono rifugiato molto spesso. Trovo adorabile e molto ispirata la scrittura delle partiture, che non necessitano di continue esplosioni rock per farci mantenere alta l’attenzione verso il concept, tanto l’atmosfera generale è intensa e “riservata”. Lo preferisco al super blasonato THE WALL perché è più intimo, privato e forse per pochi. Un disco che sento molto vicino a me.

JET LAG – Premiata Forneria Marconi (1977)
Non sono mai stato un affezionato fruitore del cosiddetto Rock Progressivo Italiano ma questo disco per svariati motivi è più o meno costantemente in movimento sul mio giradischi. Non so bene quale sia la magia che mi spinge ad ascoltarlo così spesso, anche se probabilmente è sempre il solito concetto di Crossover stilistico che mi frega. Jazz Rock che sa di Mediterraneo prima ancora di poggiare la puntina sul vinile. Tutti bravissimi sotto tutti i punti di vista, ma una particolare menzione la voglio tributare a un tastierista che mi ha sempre sconvolto per gusto e tecnica, ovvero il Sig.Premoli. La voce di Bernardo Lanzetti è quel che mancava alla PFM dei primissimi e splendidi album, quindi il suo apporto non può far altro che completare il perfetto equilibrio tra ricerca jazz rock, prog e vibrazioni Italiane, che esplode ogni volta che lo ascolto.

THE PLANETS Op.32 – Gustav Holst (1916)
L’epoca romantica della musica classica è probabilmente quella che più mi affascina tutt’oggi. Trovo che quest’opera (suonata e registrata su vinile svariate volte per altrettante svariate etichette dalla Decca alla Deutsche Grammophon) sia un forziere di idee armoniche e melodiche senza fondo. Un tesoro da studiare profondamente per arricchire il proprio bagaglio tecnico personale. Al di là della bellezza inebriante e sconcertante delle composizioni, mi sono sempre approcciato a quest’opera come ad una sorta di misterioso e voluminoso Grimorio di incantesimi musicali. Ancora oggi rimango stupefatto dall’equilibrio e dalla perfezione di pianeti “minori” come Nettuno o Mercurio. Che dire poi del grande tema di Giove, della leggerezza di Venere e di ciò che con tutta probabilità ha influenzato la celebre marcia imperiale di John Williams per la colonna sonora di Star Wars ovvero Mars, Bringer of War?

UP – Peter Gabriel (2002)
Sono passati quasi venti anni dalla pubblicazione di questo disco e tutt’oggi mi sembra ancora avanti anni luce rispetto al resto della scena Pop Internazionale. Forse perché non siamo di fronte a un disco di Pop ma (come per Sylvian) ad una vera e propria opera d’arte fatta di ricerca sonora e timbrica, unita a una capacità di scrittura assolutamente superlativa per intensità e consapevolezza dei propri mezzi. Ci sono brani che non sarebbero sfigurati su THE LAMB LIES DOWN ON BROADWAY (Darkness, My Head Sounds Like That) ma che risultano di un’attualità sonora disarmante. Un faro per chi come me adora miscelare il Pop al Rock progressive, nonché un manuale di ingegneria e ricerca del suono. The Drop è una pugnalata al cuore e forse così troppo bella per meritarcela. Inarrivabile.

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