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Pubblicato il Agosto 27th, 2021 | by Antonio De Sarno

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Eugenio Finardi, Nibbiano (PC) – 13/08/2021

Estate 2021; qualcosa comincia a muoversi e, tra mille polemiche e infiniti provvedimenti, la musica alza nuovamente la testa e comincia a insinuarsi nelle piazze di una penisola in preda a un’ondata di caldo da record. Alcune anime coraggiose hanno già portato sul palco i festival di cui leggerete altrove, altri fanno concerti gratis sulla spiaggia, creando, perdonate l’espressione, assembramenti dagli esiti tutti da vedere, ma oggi vogliamo soffermarci su un piccolo grande concerto dell’inossidabile cantautore rock Eugenio Finardi e della sua affiatatissima band (Giovanni “Giuvazza” Maggiore alle chitarre, Marco Lamagna al basso, Claudio Arfinengo alla batteria, Alex Catania alle tastiere) in un paese di poco più di duemila anime, Nibbiano, situato in mezzo alle colline piacentine, all’interno della ricchissima rassegna estiva di Musiche Nuove organizzata da Max Marchini e dalla sua Associazione Novecento.

Il concerto si apre con il set di Priska, coadiuvata da Annie Barbazza al basso e seconda voce e dal percussionista della North Sea Radio Orchestra di Folly Bololey, Tommaso Franguelli. La cantautrice di lingua francese pubblica proprio oggi, per la Dark Companion, LA SÉMANTIQUE DES RÉVES, disco antologico che raccoglie i brani più significativi della sua produzione molta intimista.

La scaletta di Finardi è, inevitabilmente, un jukebox virtuale che attraversa tutta la sua produzione fino all’ultimo disco in studio, FIBRILLANTE, uscito non pochi anni fa ormai. Le Ragazze di Osaka, Dolce Italia, Patrizia, ma anche brani più impegnati come Diesel, La Radio e tanti altri. La carriera di Eugenio, tra alti e bassi, dai centri sociali a San Remo, passando per i palasport, lo ha visto confrontarsi con ogni tipo di proposta artistica senza mai perdere quella sincerità e spontaneità di fondo che tanto onore gli fanno e tanto vengono apprezzate da chi lo segue.

Video a cura di Antonio De Sarno

La sensazione complessiva che emanano le tante parole di Eugenio in questa serata rovente, tra un brano e l’altro, è quella di gratitudine per essere tornato sul palco dopo mesi interminabili di fermo che lo hanno sicuramente messo alla prova, mista alla desolazione per la notizia del giorno, ovvero la scomparsa di Gino Strada, e la consapevolezza, presentando il suo Soweto, che tutte le certezze, non solo politiche, sociali e artistiche della sua gioventù siano state lentamente portate via lasciando il posto, giocoforza, alla delusione. “Abbiamo persino scoperto che Gandhi era razzista!” dichiara lo stesso autore che anni fa scrisse versi che oggi farebbero inorridire gli ambientalisti (“e diesel è il ritmo delle cose/è la giusta propulsione per la mia generazione/è la nuova pulsazione per la giusta situazione…). Lui stesso definisce il suo mestiere come inutile rispetto alle opere di uno come Strada e quando, alla fine del concerto, gli viene chiesto di eseguire Musica Ribelle, brano emblema di un certo periodo, rifiuta per “coerenza artistica” e per il banale fatto di non avere più 24 anni ma settanta. Al suo posto esegue, egregiamente ci mancherebbe altro, Hoochie Coochie Man, standard blues di Willie Dixon resa celebre da Muddy Waters e tanti altri. La malinconia del tempo che fu era già emersa, a essere sinceri, anche prima, presentando Laura Degli Specchi, brano scritto per Alice ai tempi di AZIMUT, con il ricordo di Angelo Carrara e Franco Battiato, altri due amici scomparsi. Così Eugenio ci rende partecipi di quella fucina di idee che furono quegli anni, ormai definitivamente tramontati.

Insomma, il leone ruggisce ancora, senza dubbio, ma il peso dei ricordi, della storia non solo personale ma con la esse maiuscola, comincia a diventare ingombrante. Il palco è il luogo in cui sia l’uomo che l’artista dovrà confrontarsi da ora in poi e trovare soluzioni ai processi della vita. Chi ha segnato una generazione è adesso costretto a convivere e conciliarsi con dei brani diventati simboli e bandiere in un mondo che ha già pochi maestri. Pochissimi lucidi come Eugenio Finardi.

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