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Pubblicato il Agosto 26th, 2016 | by Paolo Carnelli

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Fabio Di Biagio (ReaGente 6)

Fabio Di Biagio è il Joe Zawinul italiano. Se è possibile individuare nella scena jazz rock italiana attuale altri tastieristi che hanno rivolto la loro attenzione a un certo tipo di timbriche, è fuori di dubbio che nel nostro paese solo Di Biagio sia riuscito ad accogliere l’eredità di un intero mondo musicale, apparecchiandola all’interno del suo progetto ReaGente 6. E non è un caso che sul recente e ottimo “LIVE!” del ReaGente siano presenti come ospiti David Jackson (storico sassofonista dei Van der Graaf Generator) e Amit Chatterjee (chitarrista storico di Zawinul). More info: www.reagente6.com

MYSTERIOUS TRAVELLER – Weather Report (1974)
Avevo appena 13 anni quando mi regalarono questo 33 giri dei Weather Report. Era il 1974 e fino ad allora ero abituato ad ascoltare solo musica leggera e al massimo le hit di Santana. Quando misi sul piatto il disco e cominciai ad ascoltare la prima traccia, Nubian Sundance, rimasi folgorato! Non avevo mai sentito niente di simile. Al mio orecchio da profano questa musica risultò caotica, con suoni spigolosi e di difficile ascolto. Ma sentivo che dovevo ascoltarla più volte per apprezzarne il suo valore. E così feci. La musica dei Weather Report, con le sue atmosfere rarefatte, sospese, il suo arcobaleno di note che evocava immagini di gente e paesi lontani, a poco a poco mi entrò dentro, tanto da cambiarmi la vita. Se non avessi scoperto i Weather Report, probabilmente non sarei diventato un musicista!

BLACK MARKET – Weather Report (1976)
Un altro album dei Weather Report sulla mia isola. Anch’esso scorre fortemente nelle mie vene. Un disco che acquistai fresco fresco di uscita il giorno dopo aver visto un loro concerto al Palaeur di Roma. Il mio primo concerto. Un’emozione incredibile! La formazione dei Weather Report di quel 1976 è sempre stata la mia preferita, la più “colorata”: Joe Zawinul e le sue innumerevoli tastiere dai pannelli modulari, il leggendario e strabiliante bassista Jaco Pastorius, il sassofonista Wayne Shorter con il suo lirismo da brivido e la coinvolgente sezione ritmica composta da Alex Acuna e Manolo Badrena. Da quel concerto scoppiò violenta la mia passione per questo tipo di musica senza frontiere, il mio desiderio di diventare un tastierista come Zawinul. Tornando a Black Market, quanti viaggi mi hanno fatto fare brani come Cannon Ball,Gibraltar ed Herandnu

BITCHES BREW – Miles Davis (1970)
Pietra miliare, il manifesto del jazz-rock. Un doppio album dalle sonorità psicadeliche, ipnotiche e dalle ritmiche inarrestabili. Un disco di rottura con il jazz tradizionale, un colpo allo stomaco per i critici musicali e per i puristi jazz dell’epoca, che aprì nuove rotte alla musica. Miles Davis, già con il precedente In a Silent Way, fece convivere l’anima afro-americana con quella elettrica del jazz e con i ritmi del rock, in un laboratorio musicale che vide la presenza di una miriade di musicisti, alcuni suoi allievi prediletti, che a poco a poco si allontanarono per luminose carriere soliste: Joe Zawinul, Wayne Shorter, Herbie Hancock, Chick Corea, Dave Holland, Jack DeJohnette, John Mc Laughlin, ecc. Un disco che mi ha influenzato notevolmente aprendomi la strada verso la contaminazione, la sperimentazione e l’uso della libera forma

MATTANZA – Napoli Centrale (1976)
A mio avviso il più bel disco del Napoli Centrale. Un capolavoro di una delle prime band italiane a muoversi sulla strada del jazz-rock. Un gruppo che forse più degli inavvicinabili Weather Report, ha ispirato i miei inizi di musicista con il suo sound mediterraneo con venature di black music, riconoscibile già dalle prime note. Il timbro del mitico piano elettrico Rhodes con l’immancabile pedale del phase, i vocalizzi del leader James Senese in funzione spiccatamente strumentale e il suono caldo ed emozionante del suo sax, con melodie dal sapore antico. Tra i brani di Mattanza che ancora oggi mi fanno accapponare la pelle quando li ascolto, annovero gli strumentali Sotto ‘a suttana e Sotto e ‘ncoppa.

GENEALOGIA – Perigeo (1974)
Un altro gruppo italiano degli anni’70 che sposò il jazz-rock fu il Perigeo, che pur con la sua breve vita ha lasciato un segno indelebile nel panorama musicale internazionale. Con questo terzo album, più maturo dei precedenti e pur con la sua complessità, il gruppo capitanato dal contrabbassista Giovanni Tommaso raggiunse un notevole successo di vendite. Erano veramente altri tempi! Il Perigeo, folgorato da Bitches Brew di Miles Davis, aprì le porte della contaminazione, al jazz italiano. Un sound godibilissimo con stilemi mediterranei che però non rinnega la matrice jazz, presente in maniera molto più evidente rispetto agli altri gruppi di jazz-rock italiani dell’epoca. Come non ricordare gli innumerevoli ascolti in cuffia e rigorosamente al buio, di uno dei brani più suggestivi di questo album: Via Beato Angelico

UNORTHODOX BEHAVIOUR – Brand X (1976)
Anche il gruppo inglese dei Brand X con questo loro primo album ha notevolmente influenzato la mia formazione musicale. Una band nata sotto l’egida di Phil Collins, voglioso di cimentarsi alla batteria con una musica molto distante dai suoi Genesis. Una musica originalissima, ricca di atmosfere rarefatte con sottili respiri, dai colori soffusi, dalle sonorità liquide e ricercate e la straordinaria suggestività delle immagini. In Unorthodox Behaviour spiccano la celebre Nuclear Burn ed Euthanasia Waltzcon i possenti groove del bassista Percy Jones, il piano elettrico liquido di Robin Lumley e il personalissimo lavoro del chitarrista John Goodsall

ILLUSION – Isotope (1974)
Secondo capitolo del gruppo inglese degli Isotope con la presenza di Hugh Hopper, ex bassista dei Soft Machine. Gli Isotope del leader Gary Boyle, bravissimo chitarrista di origine indiane, un po’ sottovalutato, furono accolti positivamente dalla stampa dell’epoca che li definì la risposta britannica alla Mahavisnu Orchestra di John Mc Laughlin e ai Return to Forever di Chick Corea. Illusion è un disco eccellente, ricco di impennate e di risvolti interessanti. L’ho scoperto all’epoca attraverso la radio e ne rimasi molto colpito. Benché meteore, anche gli Isotope hanno dato il loro contributo alla musica jazz-rock

HEAD HUNTERS – Herbie Hancock (1973)
È soprattutto con l’ascolto di questo album che m’innamorai del piano elettrico Rhodes. In particolar modo nel lungo e strepitoso solo di Hancock su Chameleon. Un disco che è il trionfo del funky jazz, con la riscoperta delle radici africane e la fusione del jazz con il soul attraverso i mezzi dell’elettronica. Uno degli album più venduti della storia della musica jazz che valse ad Hancock il disco d’oro. Tra i brani che amo di questo Head Hunters, voglio sottolineare oltre al già citato Chameleon, ancheWatermelon Man, riarrangiamento di un vecchio capolavoro scritto da Hancock per il suo primo album nel lontano 1962, e Sly, dedicata al grande Sly Stone degli Sly & the Family Stone, pionieri insieme a James Brown del genere funk

SPECTRUM – Billy Cobham (1973)
L’album con cui debutta Billy Cobham, leggendario e poderoso batterista panamense al termine della sua collaborazione con la Mahavisnu Orchestra. Un altro discepolo di Miles Davis in un disco memorabile, punto di riferimento per tutti i giovani batteristi dell’epoca, con un Cobham dal drumming elegante e robusto che coniuga tecnica e spettacolarità, improvvisazione e precisione ritmica. Spectrum, un album da possedere assolutamente già solo per ascoltare Stratus con il travolgente groove di basso e la celebre e trascinante Red Baron, con l’indimenticabile tema al piano elettrico di Jan Hammer e i fraseggi da brivido del compianto chitarrista Tommy Bolin che qualche anno dopo confluì nei Deep Purple in sostituzione di Ritchie Blackmore

GODBLUFF – Van Der Graaf Generator (1975)
Sulla mia isola ho portato fino adesso album di un certo genere etichettato come jazz-rock, il mio primo amore. Ma non posso esimermi nell’infilare nella valigia anche questo disco dei Van Der Graaf Generator. Un regalo di Natale fattomi da chi, qualche anno prima, mi aveva regalato Mysterious Traveller dei Weather Report. Non a caso. Fu una piacevole scoperta, nonostante il tipo di musica fosse completamente diverso da quello che ascoltavo abitualmente. Probabilmente la presenza del sax di David Jackson catturò maggiormente la mia attenzione. Ho finito per adorare i Van Der Graaf Generator e se all’epoca qualcuno mi avesse detto che in futuro avrei condiviso il palco proprio con David Jackson, lo avrei preso per un pazzo visionario!

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