'70

Pubblicato il Marzo 27th, 2021 | by Roberto Paravani

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George Harrison – All Things Must Pass (1970)

Tracklist

Lato A
1. I’d Have You Anytime
2. My Sweet Lord
3. Wah-Wah
4. Isn’t It a Pity (Versione 1)

Lato B
1. What Is Life
2. If Not for You
3. Behind That Locked Door
4. Let It Down
5. Run of the Mill

Lato C
1.Beware of Darkness
2. Apple Scruffs
3. Ballad of Sir Frankie
4. Awaiting On You All
5. All Things Must Pass

Lato D
1. I Dig Love
2. Art of Dying
3. Isn’t It a Pity (Versione 2)
4. Hear Me Lord

Lato E
1. Out of the Blue
2. It’s Johnny’s Birthday
3. Plug Me In

Lato F
1. I Remember Jeep
2. Thanks for the Pepperoni


Personell
George Harrison — voce, cori, chitarra acustica, chitarra elettrica, chitarra slide, armonica a bocca, sintetizzatore Moog ● Eric Clapton — chitarra elettrica ed acustica, cori ● Ringo Starr, Jim Gordon, Alan White, Phil Collins, Ginger Baker — batteria, percussioni, conga ● Gary Wright, Bobby Whitlock, Gary Brooker, Billy Preston, Tony Ashton — pianoforte, organo Hammond, piano elettrico ● Klaus Voormann, Carl Radle — basso elettrico ● Dave Mason, Peter Frampton — chitarra ● Pete Drake — steel guitar ● Bobby Keys — sassofono tenore ● Jim Price — tromba e trombone ● Pete Ham, Tom Evans, Joey Molland — chitarra acustica ● Mike Gibbins — percussioni ● Eddie Klein — cori ● John Barham — arrangiamento orchestrale e dei cori, vibrafono


Dopo due lavori sperimentali tra avanguardia ed elettronica, il vero debutto discografico di Harrison viene pubblicato nell’autunno del 1970, quando il cadavere dei The Beatles è ancora caldo…

ALL THINGS MUST PASS è un lavoro di enorme ambizione e lungamente atteso; finalmente tutti i pezzi scartati dai due tiranni, tutte le frustrazioni accumulate nel gruppo e tenute sopite a stento, hanno sfogo in un monumentale triplo LP co-prodotto dal discusso genio Phil Spector e suonato da una lunghissima pletora di musicisti di altissimo livello, che parte dall’amico del cuore Eric Clapton e termina col vecchio commilitone Ringo Starr, passando per gente del calibro di Billy Preston e Dave Mason, dall’ex Cream Ginger Baker al futuro Yes Alan White e al futuro Genesis Phil Collins. Una lista che ovviamente non comprende né John Lennon né tantomeno Paul McCartney.

L’esplosione a lungo trattenuta è fragorosa; se si escludono le cinque gradevoli quanto inessenziali jam session poste a conclusione, il lavoro è zeppo di ispiratissime canzoni del miglior Harrison, una sequenza quasi interminabile di caleidoscopiche melodie, un ottovolante di suoni nelle più disparate sfumature di un pop-rock, che non prevede l’utilizzo di riempitivi. Purtroppo il successo della canzone più famosa del lotto, My Sweet Lord (numero 1 come singolo in USA e GB), viene macchiato dall’accusa di plagio di He’s So Fine delle Chiffons e poi sanzionato come tale, seppure con l’attenuante dell’inconsapevolezza.

Non poteva non saperlo, dai… Lui è più intelligente di così… Avrebbe potuto cambiare un paio di battute in quella canzone e nessuno avrebbe mai potuto toccarlo, invece lasciò correre e ne pagò il prezzo. Forse pensava semplicemente che Dio gliela avrebbe fatta passare liscia… — JOHN LENNON

Ma non mancano episodi altrettanto riusciti e più fortunati; e se If Not For You è una brillante cover del nuovo amico Bob Dylan, con il quale compone anche I’d Have You Anytime, tutto il resto è farina del proprio sacco. Canzoni scritte per l’occasione e soprattutto vecchie cose proposte per il WHITE ALBUM o ABBEY ROAD ma rifiutate dal crudele mostro a due teste.

L’album ottiene un clamoroso successo di critica e di pubblico arrivando al primo posto delle classifiche Inglesi e Americane. A detta di molti è il miglior album di un ex-beatle e a detta di tutti è il miglior lavoro solista di Harrison… anzi, l’ultimo, visto che non saprà mai più ripetersi su questi livelli, distratto da mille passioni e interessi extramusicali. Forse proprio in questo preciso magico momento – a soli ventisette anni – la musica esce dal centro della vita del timido e riservato George.

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