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Pubblicato il Giugno 4th, 2020 | by Antonio De Sarno

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Kavus Torabi – Hip To The Jag (2020)

Tracklist
1. Chart The Way
2. Silent The Rotor
3. A Body Of Work
4. The Peacock Throne
5. You Broke My Fall
6. Cemetery Of Light
7. Radio To Their World
8. My Cold Rebirth
9. Where The Eyeless Walk
10. Slow Movements

Etichetta Believers Roast/CD

Durata 45’50”

Personell
Kavus Torabi (tutti gli strumenti)

Quando arriverà il momento, e arriverà, di pensare a quali dischi (o canzoni) un giorno ci riporteranno alla mente questi mesi strani del 2020, chiusi in casa o nelle nostre stanze, rimuginando sul passato, beh, non sarà facile pensare a dei titoli usciti proprio allora. Anzi, tra ripescaggi più o meno ciclici, sembra quasi consolatorio farsi riassorbire dai soliti vecchi dischi che amiamo, che ci ricordano un mondo che sembra davvero destinato a scomparire. Dopo la rivelazione che sono stati i due dischi dei Rustin Man, arriva la volta di un altro nome familiare, ma che tanto ci rincuora. Questo esordio solistico di Kavus Torabi, pluri-strumentista di origini iraniana, noto per i suoi Knifeworld e per la presenza in formazioni quali Gong e Cardiacs, non poteva, infatti, arrivare in un momento migliore. La cifra stilistica di questo lisergico lavoro è, infatti, la riflessione, la meditazione quasi drone a tratti.

Il trittico iniziale dell’album è quanto di più perfetto si possa immaginare; innanzitutto Chart The Way, quasi una dichiarazione d’intenti, è semplicemente splendida, tra echi di OLIAS OF SUNHILLOW e la solarità di certi momenti degli stessi Knifeworld. Ma è il secondo brano che ruba davvero la scena quasi subito, la bellissima Silent The Rotor. Grande utilizzo dell’armonium e a un tappeto strumentale davvero minimale che cresce fino alla sezione finale molto ariosa. Ogni tanto affiorano reminiscenze Barrettiane, ma chi conosce i lavori di Torabi sa bene quanto ciò sia stato interiorizzato in tanti anni di carriera. La successiva A Body of Work sembra uscita da GRACE FOR DROWNING (disco sicuramente più ambizioso di questo “piccolo” parto molto intimista e totalmente realizzato dall’autore, copertina compresa). E’ un disco che può sicuramente non piacere a chi cerca trame complesse e suoni roboanti: qui si vive in una sorte di animazione sospesa, tra l’oriente e il minimalismo, il tutto farcito con una robusta dose di psichedelica, naturalmente. Il pezzo più bello arriva subito dopo la parentesi The Peacock Throne, ed è la struggente You Break My Fall che si chiude con delle frasi davvero toccanti, sopra un tappeto di armonium e chitarre slide; “So I’ll wrap my arms around my friends/because I love you all/and if you’re still here when my life ends/please know that you broke my fall” e tutto il resto diventa superfluo.

Quindi, seguono alcuni brani già noti (Cemetary of Life di cui esiste anche un video promozionale), Radio to Their World (potenzialmente anche “radio-friendly”) e Slow Movements. La seconda parte del disco non raggiunge le vette della prima parte e, anzi, My Cold Rebirth è forse il momento meno riuscito in un lavoro altrimenti ipnotico dalla canonica durata di 45 minuti. Un disco che, ascolto dopo ascolto, entra molto velocemente nel cuore.

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