Incontri

Pubblicato il Novembre 28th, 2021 | by Paolo Formichetti

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La bellezza è ancora possibile

Maurizio Di Tollo è da poco reduce dall’esperienza del Prog Festival di Veruno dove, assieme al fido amico e sodale Cristiano Roversi e agli altri membri de Il Porto di Venere si è esibito per la prima volta presentando il loro lavoro d’esordio e ottenendo pareri piuttosto lusinghieri. Lo abbiamo incontrato di fronte a due birre ghiacciate in un caldo pomeriggio romano di settembre. La chiacchierata è stata estremamente piacevole e la simpatia di Maurizio travolgente (basti dire che non c’è stato verso di fare una foto “seria”)

Raccontaci come hai iniziato a suonare la batteria e quando hai deciso di diventare musicista professionista…

Mi sono appassionato alla musica come reazione all’essere stato un bambino emarginato. Alle elementari ero silenzioso, così venni preso di mira dai miei compagni ed escluso dai giochi, Non nego che sono stati anni difficili. Pertanto ho cercato la mia dimensione altrove, nella musica, di cui mi sono appassionato molto precocemente. Ho iniziato a comprare dischi a sette anni. Rimasi folgorato da Renato Zero, nello specifico da Madame, uno dei suoi primi brani. Mi incuriosiva questo tipo dai travestimenti bizzarri, e poi il pezzo aveva un gran tiro. Al tempo la mia curiosità era a 360 gradi e quindi ho una memoria musicale praticamente onnivora che parte dal 1975. Iniziai a comprare ogni tipo di disco. Mi ricordo la pubblicazione di PASSPARTU della PFM, ricordo che comprai NUNTEREGGAE PIU di Rino Gaetano il giorno dell’uscita. Adoravo Stefano Rosso, ancora oggi mi stupisco non goda della stessa considerazione di Gaetano. Ci sono state anche cose di cui non vado fiero… ad esempio l’attesa spasmodica per SPIRITS HAVING FLOWN dei Bee Gees. Poi sono arrivati i Genesis.

Li hai conosciuti all’epoca di A TRICK OF THE TAIL e WIND & WUTHERING, quindi…

No, non li ho conosciuti nei miei primi anni di appassionamento alla musica, ma qualche tempo dopo. Mia sorella aveva il 45 giri di Follow You Follow Me, che ascoltava a ripetizione. Non ne potevo più, per cui un giorno misi il lato B, Ballad of Big e rimasi colpito. Durante una gita in auto con i miei, comprai in un autogrill la cassetta di GENESIS. Partì Mama, ok la conoscevo, il loop di batteria elettronica mi faceva impazzire, That’s All non mi piacque per nulla, poi arrivò Home By The Sea che mi folgorò letteralmente nella parte strumentale. Il giorno dopo, gasatissimo, raccontai ai compagni di scuola che avevo scoperto un gruppo pazzesco. Arrivò il classico compagno ripetente che mi apostrofò con qualcosa tipo “non capisci nulla dei Genesis, ascoltati i dischi con Peter Gabriel”. Ovviamente fu un bel po’ più volgare di come te lo riferisco. Il giorno dopo, con la pulce nell’orecchio, comprai FOXTROT. E fu la fine, o meglio, l’inizio. Iniziai infatti a suonare la batteria proprio perché volevo “essere” Phil Collins. Comprai lo strumento dal mio insegnante col quale feci però solo tre lezioni, dato che disse a mia madre che non ne avevo bisogno, anche se, secondo me, i motivi erano altri e meno “nobili”. Pertanto, ho proseguito da autodidatta. Successivamente, ho frequentato un’accademia musicale a Pescara. In quel periodo ho capito delle cose che poi mi sarebbero servite parecchio tempo dopo, nel mio lavoro di insegnante di batteria. La cosa più importante è cercare di alimentare la fiamma di chi vuole imparare a suonare. I percorsi da seguire sono vari, a volte sono quelli didattici, altre volte bisogna inventare qualcosa di diverso. La tecnica va insegnata, ma va alimentato anche il divertimento, il sogno. Adesso insegnare è sempre più difficile. A parte il discorso pandemia, i ragazzi hanno mille distrazioni che li distolgono dalla musica. Il calcio, i videogiochi…

Quando hai iniziato a suonare in una band?

Per anni, ho fatto la solita trafila con varie cover band, fino a che sono entrato nel mio primo gruppo Prog: Le Distillerie Di Malto, Erano dei ragazzi di Ortona, appassionati dei mostri sacri del prog, che proponevano fin dai primi anni ’90 un misto di cover e pezzi propri. I brani finiti nel disco IL MANUALE DEI PICCOLI DISCORSI erano stati scritti dieci anni prima e videro la luce solo nel 2001. Di sicuro vivere in un piccolo centro abruzzese è stato un handicap, ma va anche detto che forse ce la siamo presa un po’ comoda. Peccato, perché con un maggiore impegno avremmo potuto ottenere risultati simili a quelli dei Finisterre, per citare un nome, visto che eravamo contemporanei alle band di quella rinascita progressiva. Quando registrammo il disco scoprimmo che esisteva un vasto movimento Prog. Nacquero pertanto i primi contatti, ad esempio con Mauro Moroni, che rimase colpito dal disco e mi chiamò per un progetto nel quale era coinvolto proprio Fabio Zuffanti. In quel momento vennero messe le basi per la mia entrata ne La Maschera Di Cera. Venni chiamato per un concerto in sostituzione del loro batterista e, da lì in poi, entrai in pianta stabile nel gruppo. All’inizio, collaboravo continuando a vivere in Abruzzo. Il primo disco che pubblicai con loro fu il live in Belgio pubblicato dalla Mellow Records. Anche quando incisi LUXADE ancora vivevo in Abruzzo. Poi, frequentando Genova, mi sono innamorato della città e mi ci sono trasferito per unire l’utile al dilettevole: vivere in una città bellissima e stare vicino alla band in cui suonavo. Peccato che, dopo la pubblicazione di PETALI DI FUOCO le cose siano iniziate ad andare in una direzione che non era quella che avrei voluto. Aggiungi a questo una serie di delusioni sul piano umano e personale e capirai perché preferisco chiudere qui il discorso.

Dopo la tua fuoriuscita dalla Maschera di Cera ti sei un po’ allontanato dal mondo del Progressive, mondo verso il quale hai assunto posizioni critiche. Ci vuoi dire come la pensi?

Parto con un esempio: prendi Cristiano Roversi: è un musicista vero. Sa leggere e scrivere la musica, sa che cos’è un arrangiamento, sa scrivere le partiture per un’orchestra. Ha competenze che hanno in pochi nel mondo del Prog, eppure non riceve le medesime attenzioni di altri personaggi musicalmente molto meno dotati di lui. Il problema principale nel mondo del Prog è la pigrizia di molti ascoltatori, che non sanno andare oltre la facciata e si accontentano di musica di maniera. Ma secondo te Fripp, quando ha inciso DISCIPLINE, ha pensato ai fan di Epitaph? Questo è l’insegnamento che i musicisti Prog dovrebbero trarre dai grandi del passato e non certo imparare a imitare il loro stile o il loro modo di suonare. Fripp scrivendo DISCIPLINE ha metaforicamente detto ai fan “io vado in questa direzione, se mi volete seguire bene se no fa niente”. Il progster che vuole un gruppo che suoni in stile King Crimson non va accontentato solo perché facendolo potresti vendere cento copie in più. Tanto, nel mondo del Prog, parliamo di cifre ridicole che in più o in meno non cambiano la vita a nessuno. Gli ascoltatori del Prog dovrebbero, loro a maggior ragione, aprire la mente e smetterla di andare col paraocchi e ignorare un disco a priori magari solo perché non contiene una suite da venti minuti. Fare una suite è più facile che fare un brano di quattro minuti, te lo assicuro. E la cosa peggiore sono quei musicisti che di competenze ne hanno poche e che realizzano album solo per accontentare i progster più pigri con un lavoro di “copia e incolla”. Invece il Prog dovrebbe essere un’oasi di libertà dove mettere tutto quello che siamo. È una cosa che ogni musicista deve a se stesso. Sono dieci anni che aspetto un disco che mi prenda a schiaffi. Vorrei davvero poter ringraziare qualcuno e dirgli “il tuo disco mi ha inchiodato al muro” ma purtroppo non ne riesco a trovare. Il motivo è che i dischi sono quasi tutti uguali, cercano tutti di dare al pubblico quello che il pubblico si aspetta. Ma il Prog non è questo. Spero di non passare da presuntuoso a dire queste cose ma ti assicuro che simili pensieri sono stati espressi anche da un grande come Vittorio Nocenzi. Sono in buona compagnia!

Visto che lo hai citato, mi racconti come sono nati l’amicizia e il sodalizio artistico con Cristiano Roversi?

Nel 2001, con Le Distillerie di Malto, scoprimmo che esisteva tutto un movimento di Prog nazionale che andava avanti da tempo. Ho scoperto tante band che suonavano questo genere, chi meglio chi peggio, anche se va detto che a quei tempi chi faceva dischi era una sorta di pioniere. I budget erano bassi, le tecnologie ridotte. All’epoca mi colpì IN LIMINE dei Finisterre e soprattutto THE GATES OF OMEGA dei Moongarden. Quel disco era composto e suonato splendidamente e registrato al meglio delle possibilità del tempo. Mi innamorai artisticamente di Roversi. Per un caso della vita un mio amico, Tiziano Rea, organizzava concerti di musica del tutto improvvisata con musicisti di varia estrazione. Fu in una di quelle band improvvisate che mi trovai a suonare con Cristiano. Nacque così la nostra amicizia. Entrai nei Moongarden con i quali feci due dischi, SONGS FROM THE LIGHTHOUSE e A VULGAR DISPLAY OF PROG. Quest’ultimo, soprattutto, superava ogni limite e rappresentava quella che era la mia idea del fare progressive. La cialtronaggine che gira nel nostro ambiente, per tornare alle considerazioni di prima, pesa a me quanto a lui. Anzi per lui è anche peggio perché lui frequenta ambiti musicali extra progressive di livello ben più alto, dove certe cose non te le potresti mai e poi mai permettere. Se Massimo Zamboni, che è un po’ la storia della musica alternativa italiana, si affida a Roversi da dieci anni un motivo ci sarà. Vuol dire che è un musicista più che valido ed è paradossale che nel Prog non abbia lo stesso riconoscimento.

Iniziamo a parlare un po’ del Porto di Venere, allora…

Tempo fa avevo chiesto a Cristiano se voleva occuparsi della produzione del mio futuro terzo disco solista, ma lui aveva delle idee che avrebbero portato il lavoro verso determinati territori, cosa che io non volevo. Ne abbiamo parlato e abbiamo deciso di soprassedere, sennonché nel corso della stessa telefonata me ne sono uscito con una frase del tipo “ok, con questo disco non se ne fa nulla, perché allora non scriviamo insieme qualcos’altro partendo da zero?”. E abbiamo iniziato. Con la stessa semplicità di chi chiede a un amico “ci facciamo una birra?”.

Come è andato il lavoro di composizione “a distanza” dei pezzi di E PENSA CHE MI MERAVIGLIO ANCORA ?

Tutto il disco è stato scritto con grande fluidità. Io e Cristiano ci siamo scambiati suggestioni reciproche, intervenendo ognuno sul materiale dell’altro con una sinergia tale che alla fine le canzoni le abbiamo tutte firmate insieme. Per farti un esempio, il testo della title track è opera mia mentre la coda strumentale successiva è di Cristiano e la cosa straordinaria è che in quello strumentale lui ha detto, con un linguaggio esclusivamente musicale, le stesse cose che io avevo detto nel testo del brano precedente. Due figli della stessa madre, con padri diversi. Oppure prendi Dahlia. Cristiano aveva scritto la musica ma non sapeva bene se sarebbe potuta diventare una canzone. Era una musica meravigliosa con un’attitudine alla Morricone. Me ne sono innamorato istantaneamente. Ci ho lavorato aggiungendoci del mio affinché rimanesse all’altezza delle emozioni che aveva suscitato in me. Ci ho messo tanta dedizione, come un artigiano, allo scopo di creare qualcosa di bello per noi, non pensando certo a compiacere gli ascoltatori o gli eventuali recensori. È stato come se ci fossimo assunti reciprocamente la responsabilità di essere ognuno all’altezza dell’altro. In passato, lo scrivere con qualcuno non aveva portato a buoni risultati. Il brano Tannhauser che sta nel mio primo disco solista, lo avevo scritto in origine per La Maschera di Cera ma gli altri del gruppo avevano proposto troppe modifiche, tanto che avevo preferito tenerlo per me. Iniziavo a essere geloso delle mie composizioni, le sentivo troppo personali e non volevo che le cantassero altri. Ecco perché sono diventato cantante oltre che batterista. Da quella canzone è infatti partito tutto il lavoro che ha portato alla realizzazione de L’UOMO TRASPARENTE.

Come sono stati scelti i musicisti che hanno partecipato al progetto?

Il Porto di Venere è un gruppo fatto esclusivamente di musicisti, gente che di mestiere fa musica e basta. Tralasciando i gruppi storici, sono in pochi a vantare un simile biglietto da visita. Comunque, Cristiano mi ha fatto dei nomi di musicisti a cui poteva “arrivare”: io mi sono fidato ciecamente e devo dire che ho fatto benissimo. Quando ho sentito il nome di Elisa Minari, poi, mi sono entusiasmato perché conoscevo bene il suo modo di suonare. Considera che quando aveva 19 anni suonava in concerto con i Nomadi, e non aggiungo altro. Anche io ho i miei contatti ma sicuramente Cristiano è molto più addentro al mondo musicale ed è stato eccezionale a trovare musicisti bravissimi che sono al contempo bellissime persone. Mi fa piacere avere il loro affetto e la loro stima. Ti confesso che, quando ho registrato le parti di batteria, avevo qualche timore. Era tanto che non suonavo in un progetto così entusiasmante e avevo timore di non essere all’altezza. Poi, per fortuna, è andato tutto bene e mi sono molto divertito. Ho registrato con un set di batteria ispirato al sound di ABACAB, perché io e Cristiano, talvolta, giochiamo a fare Tony Banks e Phil Collins, diciamoci la verità. Ti racconto un piccolo aneddoto divertente. Registravo in uno studio situato in campagna e a un certo punto mentre registravo, concentrato col click in cuffia, è entrata una capra nello studio. Per almeno due minuti la capra mi ha guardato suonare, poi come è venuta se ne è andata. La traccia è finita nel disco. Chissà che, ascoltandolo in cuffia, non si riesca a percepire qualche rumore di origine animale. Alla fine il disco non sarà un capolavoro ma vorrei ci venisse riconosciuto il tentativo di fare qualcosa fatto per bene. Noi viviamo così questo lavoro. Siamo in un momento in cui il mainstream viene fatto in casa da adolescenti chiusi in cameretta, almeno noialtri tentiamo di fare le cose come andrebbero fatte. Questo è sicuramente il modus operandi migliore, quello che è stato usato per creare tutti i capolavori della storia del rock.

Come è stato coinvolto Faso nella registrazione di Stop al Televoto?

Io sono un fan di Elio e le Storie Tese e ho contattato il batterista Roberto Gualdi, grande amico e persona splendida, e gli ho chiesto se poteva chiedere a Faso, che, tra l’altro, degli Elii è quello più appassionato di progressive, se sarebbe stato disposto a suonare nel disco. Dopo una settimana, Faso mi ha chiamato, si è fatto mandare le canzoni e ha scelto lui su quale registrare la parte di basso. Ha fatto tutto nello studio degli Elii e mi ha rimandato la canzone completa. Quando ho sentito il suo lavoro non ci potevo credere. Peraltro, avrebbe dovuto anche partecipare al concerto di Veruno ma poi ha avuto impegni lavorativi e non ha potuto presenziare.

I testi del disco sono particolarmente curati e significativi, cosa alla quale forse non si è più abituati.

Gli appassionati di Prog sembrano aver scoperto con questo disco che, oltre alla musica, ci sono spesso anche delle parole. Tutti lodano i testi del nostro disco e parlano di incontro tra Prog e canzone d’autore. Ma la verità non è che i miei testi siano capolavori ma piuttosto  che quelli di moltissimi altri non sono per niente validi, per non dire di peggio. Io non sono un genio, scrivo quello che mi viene in mente seguendo l’esempio di chi aveva la penna bene affilata. Non vado a scomodare De Andrè, ma 750000 Anni Fa l’Amore non è poesia pura? E quanti altri meravigliosi testi ci sono sempre del Banco, oppure della Locanda delle Fate. E quello non è Prog? Di cosa stiamo parlando? Io non sono Mogol o Sinfield, i miei testi sono decenti, altri lo sono molto meno. Ecco perché, adesso, in molti lodano i testi de Il Porto di Venere.

Il disco è stato ben accolto dalla critica di settore.

Anche sulla critica avrei qualcosa da dire. Di fronte al gusto personale alzo le mani, una musica o ti piace o non ti piace, ma per fare critiche strutturali devi dimostrare di avere competenze musicali e non parlare tanto per parlare. In ogni caso sono consapevole che il nostro sia un gran disco ma la cosa non va tanto a merito nostro quanto a demerito del periodo storico culturale che stiamo vivendo. Se tutti facessero i dischi per comunicare qualcosa, per essere liberi, la cosa andrebbe di sicuro a loro vantaggio, tanto questa musica è libertà e basta, non ti svolta la vita economicamente. Col Prog non ci paghi il mutuo, ci vai a mangiare fuori e al massimo ti titilli l’ego dopo un concerto. Il mondo del Prog italiano è pieno di rockstar e presunti addetti ai lavori che giocano con i soldi del Monopoli. Alla fine, nella musica, se sei egoista riesci ad essere anche generoso. Sembra un ossimoro ma riflettici: se cerchi di emozionare te stesso, automaticamente, stai dando il meglio che puoi a chi ti ascolta. Non si inventa nulla, ma si può cercare ognuno il proprio linguaggio. Bisogna essere musicisti autentici, non i cosplayer dei grandi.

Che ci dici dell’esperienza di Veruno e in generale qual è il tuo pensiero su questo genere di manifestazioni?

A Veruno mi sono divertito come un pazzo. Ho suonato con musicisti veri. Per dirne una, avevo vicino a me Marco Remondini, uno che ha suonato con Battiato, tra gli altri. Col sax baritono mi contrappuntava, facendo cose diverse da quelle del disco, tutte giuste, e cantare ascoltando lui era fantastico. Ci siamo tutti divertiti, lo ammetto, ed è stato bello conoscere persone nuove o rincontrare vecchi amici. Più in generale, però, trovo un po’ sconsolante che nelle manifestazioni di musica Prog continui ad esserci la tendenza a considerare le band venute dopo gli anni 70 come delle “giovani promesse”. A cinquant’anni, dopo aver suonato questo genere un po’ in tutto il mondo, non vedo me e Cristiano esattamente come “giovani promesse”. Senza contare un’altra cosa. Senza le band che, alla fine degli anni ’80, hanno ricominciato a proporre questa musica, il progressive probabilmente, sarebbe morto, per cui si tratta di un movimento di fondamentale importanza, altro che giovani promesse. Non scordiamoci che, alla fine degli anni ’70, il Prog non era più di moda e non vendeva più, questa è storia. Le band principali, infatti, cambiarono la loro proposta musicale, semplificandola e avvicinandola al pop. Mentre questo avveniva, iniziavano a sorgere band, all’epoca sì, fatte da musicisti anagraficamente giovani, che suonavano questo genere con un entusiasmo inversamente proporzionale alla scarsezza di mezzi. Sono queste band che hanno tirato di nuovo su il movimento andando a suonare ai vari festival internazionali (ProgFest, NearFest) dove poi sarebbero stati richiamati i “mostri sacri”. Questo per ribadire quanto il Prog italiano sia debitore a tante band ingiustamente definite “minori”.

Passando ai tuoi ascolti, c’è qualcosa nel Prog o in altri generi musicali che ti ha entusiasmato negli ultimi tempi?

Per restare sul Prog, sicuramente qualunque cosa prodotta da Anthony Phillips, senza dubbio! Ad esempio, In FIELD DAY c’è un brano di poco più di un minuto, Evening Shroud, che è oro puro, anche in un così breve spazio temporale. Cose epiche, che hanno rappresentato una rottura, non ne vedo, negli ultimi anni. Bisogna tornare al 1995, con THRAK dei King Crimson, un disco che ha fatto scuola e che riprende il concetto che ho espresso prima, di una band che prende una direzione senza curarsi delle mode o delle aspettative dei fan. Per il resto, ci sono dischi con buone idee, a volte suonati bene, altre male, con qualità di registrazione non sempre all’altezza, e c’è poi tanto fumo negli occhi. Di alcune band, si percepisce la potenzialità ma, al contempo, purtroppo, la mancanza di coraggio. Fuori dal PROG, mi emozionano molte produzioni ECM, penso al jazzista polacco Marcin Wasilewski che adoro veramente. Apprezzo Max Richter, Johan Johansson, o Andrea Chimenti, per restare in Italia. Cerco emozioni altrove rispetto al Prog e lo dico con dispiacere. Ad esempio, anni fa mi colpì il disco de La Torre dell’Alchimista. Non era perfetto ma ci percepivo tanto cuore che, purtroppo, non riesco a ritrovare nelle produzioni attuali. Anche THE RAVEN THAT REFUSED TO SING di Steven Wilson, è un buon disco ma, sotto sotto, anche lui scopiazza a destra e a manca dai classici del Prog. Vorrei, con tutto il cuore, essere travolto dalle emozioni musicali di altri artisti. E, invece, ecco il nuovo Yes con l’ennesima copertina di Roger Dean, o il tour dei Genesis con Collins ridotto in quel modo. Preferisco ricordarmeli da vivi o al più andarmi a vedere gli ABBA o forse i loro ologrammi, ballare Dancing Queen senza prendermi troppo sul serio. Io sono appassionato di eccellenza e onestà. Un disco può non piacermi, e allora dico, col massimo rispetto, che non incontra i miei gusti, ma, se mi piace davvero, è perché mi ha colpito come uno schiaffo. Mi può commuovere BRAVE dei Marillion o Dominic Miller o i vecchi dischi dei Talk Talk, capolavori assoluti. Ecco: io cerco costantemente quelle emozioni in musica nuova. Talenti ci sono ma dovrebbero lasciare il mainstream ai ragazzini che sognano X Factor, mentre loro dovrebbero dimostrare che la bellezza è ancora possibile, così come ci è stata insegnata dai grandi. Serve un esercito di partigiani della musica che non si accontenta e non vuole accontentare l’ascoltatore in ciabatte sul divano. E, noi musicisti, abbiamo il dovere di raccontare al mondo qualcosa di più, in modi personali. Inutile farlo col linguaggio di chi, in passato, lo ha fatto molto meglio di quanto noi potremmo mai fare. Lasciamo qualcosa di noi, un buon ricordo. Dobbiamo essere onesti. Non è un autografo dopo il concerto che ci cambia la vita, ma è importante avere un disco che contenga la nostra parte più nobile, la migliore. Voglio che qualcuno prima o poi ascolti uno dei miei dischi trovandoci il mio io più profondo, privato delle piccolezze della vita quotidiana. Vorrei che ci potesse trovare la mia anima.


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