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Pubblicato il Maggio 13th, 2020 | by Paolo Formichetti

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Maurizio Di Tollo

Maurizio di Tollo è un artista decisamente poliedrico: batterista, compositore, cantante, polistrumentista. Ha suonato la batteria in una trentina di dischi di rock progressivo esibendosi in prestigiosi palchi in giro per il mondo, ha collaborato con artisti del calibro di Francesco Baccini ed Enrico Nascimbeni, ha realizzato due apprezzati dischi solistici: L’UOMO TRASPARENTE (2012) e MEMORIE DI UNO SPARRING PARTNER (2015). Affianca all’attività di musicista quella di insegnante di musica ed è in procinto di tornare in sala d’incisione con un nuovo disco solista e con il progetto IL PORTO DI VENERE, open band in odor di progressive fondata assieme al leader dei Moongarden Cristiano Roversi. Questi sono i dieci dischi che più di tutti gli hanno toccato l’anima…

WALKING A CHANGING LINE – Ian Matthews (1888)
È un disco che ha il potere di rimettermi in pace con il mondo, fermare l’ansia, restituirmi i colori perduti. È un album piccolo, fragile, persino ingenuo. Come può esserlo un bambino. E, come un bambino, anch’esso è puro..

THE LAMB LIES DOWN ON BROADWAY – Genesis (1974)
L’anello di congiunzione tra il prog e il punk: l’ho sempre letto così. THE LAMB è un disco che non è stato ancora compreso a fondo. Mi piace che, dopo la brillantezza accecante di SELLING ENGLAND BY THE POUND, qui, i Genesis, si siano sporcati le mani e abbiano insozzato il loro suono di ombre e incubi, a partire dal rumore di fondo che si avverte nella copia in vinile dell’epoca e che pervade tutti i solchi. Sembra un errore di mastering ma pare la cattiva coscienza che ti mormora nell’orecchio. Meravigliosamente bastardo. Per questo, lo amo.

LA PASSIONE SECONDO MATTEO – J. S. Bach / diretta da Von Karajan (1973)
Non credo sia stata composta musica migliore di questa. Non credo ci sia, in giro, una versione migliore di questa.

THE RUSSIAN ALBUM – Boris Grebenshikov (1991)
l suono della balalaika ricorda quello del mandolino. Ma i racconti russi di questo lavoro, intriso di tradizione ma anche di influenze dylaniane, sanno creare voragini. Il leader degli Aquarium ci offre in dono l’anima della sua terra, della sua gente. Gente che conosco.

THE FINAL CUT – Pink Floyd (1983)
Lo acquistai appena uscì e mi fece piangere fiumi e laghi. Ho amato e amo i Pink Floyd ma questo è il disco di un uomo talmente sincero e nudo che il risultato sa farti male quasi fisicamente. E riflettere su te stesso. Per poi rinascere.

NIGHTHAWKS AT THE DINER – Tom Waits (1975)
Sull’isola, mi mancheranno i bar. Di solito, mi accomodo nell’angolo più dimesso, da dove, comunque, mi arrivano voci e suoni di vita. Tom è l’amico sbruffone che, dopo il terzo bicchiere, comincia a parlare senza freni e ti dona ciò che pensa senza remora alcuna ma anche senza saccenza. I poeti alticci vanno sempre ascoltati: posseggono tesori.

I WILL SAY GOODBYE – Bill Evans Trio (1977)
La malinconia è uno dei pochi lussi che mi concedo. Quest’opera ne possiede parecchia. Ma è sentimento dolce e nobile, palesato con discrezione e a voce bassa, è jazz che scende dal piedistallo e ti si siede accanto. Per me, è come un ritratto: la colonna sonora dei miei “vorrei” mai realizzati.

POLLI D’ALLEVAMENTO – Giorgio Gaber (1978)
Se sei da solo, su un’isola, oltre ai bar, ti manca il buon amico che ti apre gli occhi e ti indica dove guardare. Ascolterei Gaber per ore e sarei capace, attraverso le sue parole, le inflessioni della voce, la sua straordinaria lucidità, di trovare tutte quelle risposte di cui ho bisogno. Gaber ci ha raccontato e continua a farlo. Le sue doti di osservatore hanno fatto sì che continuasse a essere vivo, nonostante sia altrove da tanti anni.

THE COLOUR OF SPRING – Talk Talk (1986)
Gli anni 80, l’adolescenza, il sole, il mare, le prime ragazze. La consapevolezza che, tra quei gruppi pieni di gente dai capelli cotonati e dal ritornello facile, qualcuno potesse aspirare a qualcosa di più. Quell’omino dalla faccia buffa e terribilmente normale prese la rincorsa verso il paradiso, iniziando da questo disco. Fu così che Mark Hollis divenne uno dei miei più idolatrati maestri.

A WALK ACROSS THE ROOFTOPS – The Blue Nile (1984)
Sommessi. Discreti. Intensi fino al dolore fisico. Canzoni che sono quadri. Ascolto che diviene immersione. Fuori dal mercato, dalle logiche di marketing, dal tempo. Lenti, da assaporare come un buon vino. Per palati che aspirano al cielo. Un olandese dimenticò questo disco, nella camera di un albergo. Il figlio del titolare lo trovò, lo ascoltò, non gli piacque e me lo regalò. Io, in quel disco, trovai me.

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