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Pubblicato il Dicembre 2nd, 2016 | by Massimo Forni

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PINK FLOYD – The Piper At The Gates Of Dawn (1967)

Tracklist

Lato A
1. Astronomy Domine
2. Lucifer Sam
3. Matilda Mother
4. Flaming
5. Pow R. Toc H.
6. Take Up Thy Stethoscope And Walk

Lato B
1. Interstellar Overdrive
2. The Gnome
3. Chapter 24
4. The Scarecrow
5. Bike


Personell
Syd Barrett – lead guitar, vocals ● Roger Waters – bass guitar, vocals ● Richard Wright – Farfisa Compact Duo organ, piano, celesta, vocals ● Nick Mason – drums, percussion


La musica degli anni ’70 non è un fenomeno slegato dalla precedente esperienza, quella maturata soprattutto nel Regno Unito nel corso della seconda metà degli anni ’60. Possiamo anzi dire che negli anni ’70 si è raccolto quello che si è seminato nel decennio precedente, si è portato al perfetto compimento la sperimentazione condotta negli anni 67/69…

Se è vero che In The Court Of The Crimson King del 1969 rappresenta la prima (e migliore) pietra dell’edificio progressivo realizzato negli anni successivi, non il primo tentativo ma la perfetta espressione di uno stile musicale che avrebbe trovato via via grande fortuna nei primi anni ’70 (gli stessi Genesis hanno dichiarato pubblicamente di aver preso a modello quel disco), è altrettanto vero che espressioni artistiche più acerbe nel linguaggio musicale, ma dirompenti dal punto di vista della sperimentazione, costituiscono un punto di passaggio obbligato nel nuovo percorso artistico mondiale: è il caso di The Piper At The Gates Of Dawn dei Pink Floyd, registrato agli Abbey Road Studios di Londra e pubblicato il 5 agosto 1967, il capolavoro dell’era psichedelica inglese. L’album, prodotto da Norman Smith, è il frutto della genialità ribelle, dell’imprevedibilità e del coraggio del leader del gruppo: Syd Barrett, compositore di tutte le musiche, ad eccezione di Take Up Thy Stethoscope And Walk di Roger Waters e di Interstellar Overdrive, frutto del lavoro dell’intero complesso. La foto di copertina è di Vic Singh, il retro è un disegno dello stesso Barrett. Le sessioni di registrazione iniziano il 21 febbraio e terminano il 18 luglio del ’67. Durante la preparazione del disco vengono registrati anche due pezzi mai pubblicati ufficialmente: She Was A Millionaire e Sunshine.

Ma, dopo queste curiosità, ritorniamo un attimo indietro. Eroe della scena underground inglese, Barrett aveva già negli anni precedenti alla pubblicazione dell’importante 33 giri abbracciato nel modo più radicale possibile l’istanza di un generale rinnovamento musicale, frequentando assiduamente l’Ufo Club di Londra (punto di riferimento di musicisti desiderosi di sperimentare nuovi suoni e contaminare i diversi generi musicali). Nascono i Pink Floyd, un nome che si ispira a due bluesmen della Georgia, Pink Anderson e Floyd Council, anche se, quasi a voler rinnegare le origini, il gruppo prende le distanze dal blues per far proprio il nuovo credo psichedelico. All’inizio si tratta di una formazione composta da ben sei elementi, poi assume la configurazione quadrangolare con il bassista Roger Waters, il tastierista Richard Wright e il batterista Nick Mason, che si uniscono artisticamente al chitarrista. Il singolo d’esordio è Arnold Layne, una canzone stravagante, dalla struttura semplice, costruita un po’ sul modello delle classiche ballate folk, ma dotata di nuove sonorità e soprattutto di un testo alquanto malizioso, provocatorio per quei tempi, che non ne favorisce la radiodiffusione e la vendita. Maggior successo, invece, per il singolo successivo, See Emily Play (originariamente intitolato Games For May), parimenti composta da Barrett, che raggiunge il quinto posto in classifica.

Ma è con The Piper At The Gates Of Dawn che, nonostante i limiti propri dell’opera prima, saranno spazzate via tutte le precedenti convenzioni, a favore di un lavoro ricco di invenzioni, di nuove soluzioni tecniche e di una dimensione sonora surreale, fortemente suggestiva. «Folle, allucinato, astrale» è stato sinteticamente ed efficacemente definito questo grande lavoro, che raggiunge il sesto posto in classifica e rimarrà sette settimane nella Top 20 inglese. Undici brani che stravolgono ogni schema musicale. Giganteggiano, tra le varie favole visionarie, Astronomy Domine e Interstellar Overdrive, presentate già qualche anno prima all’Ufo Club e ora, grazie a stupefacenti effetti elettronici, lanciate definitivamente nelle orbite spaziali, per solcare nuove strade, varcare le “Colonne d’Ercole” e ogni limite imposto alla conoscenza umana. E pensare che il brano strumentale Interstellar Overdrive, registrato il 27 febbraio, era stato accantonato (per essere pubblicato come singolo) e poi reinserito nell’album durante la sessione di missaggio del 18 luglio (meno male!).

Era difficilissimo star dietro a Syd senza esasperarsi. Molte volte volevo proprio lasciarlo perdere… ma nessuno ci avrebbe potuto guidare più lontano… — ROGER WATERS

E così, nell’avventura interstellare, mentre gli altri componenti del gruppo realizzano con attenzione superbe tessiture melodiche, distendono magici e fantasmagorici tappeti armonici, conferendo enfasi, con una solida sezione ritmica, ai momenti più drammatici, Barrett, “alimentandosi” in modo massiccio con l’LSD, tra tempeste stellari e improvvisi e brevi momenti di quiete cosmica, viaggia con la sua chitarra distorta verso territori conosciuti solo alla sua mente instabile. È un gruppo al servizio del suo leader, delle sue allucinazioni, delle sue visioni apocalittiche. Non mancano però nell’album momenti più facilmente fruibili, atmosfere orientaleggianti o trovate alquanto bizzarre e ironiche, ispirate al puro divertimento, e anche pause di meditazione o di sottile malinconia. Una felice fusione di effetti e di suoni che, solo in apparenza, sembra essere lasciata al caso, alla pura improvvisazione, ma che è invece sapientemente architettata, espressione di fervida creatività e lucida razionalità, volte a dissacrare la precedente tradizione rock e a respingere ogni logica di mercato, pur senza rinunciare a proporre qualcosa di fruibile.

Anche se amava le canzoni semplici, Syd Barrett aveva un modo esplosivo di missare i pezzi. Abbassava e alzava i cursori della consolle a tutta velocità e apparentemente a caso, ma sta di fatto che il risultato era sempre fenomenale… Syd era un pittore, e non faceva mai nulla se non in modo artistico. Era un creatore al cento per cento, e sempre molto esigente, in particolare con se stesso — ANDREW KING

Per una strana coincidenza, nello stesso periodo, negli adiacenti studi viene registrato un altro grande monumento dell’era psichedelica: il Sgt. Pepper’s dei Beatles. I Fab Four si accorgono subito che qualcosa di magico sta per prendere vita solo qualche stanza più in là: durante le loro registrazioni effettuano spesso delle pause per andare ad ascoltare le sessioni dei Floyd. Non c’è dubbio che questa stagione psichedelica sia un’epoca ricca di fermenti musicali e culturali. Sono anche gli anni dell’avventura cosmica, della febbre della conquista spaziale. Dall’impresa di Yuri Gagarin lo spazio è entrato nell’immaginario collettivo e ora accende anche la fantasia di Barrett. Ricordiamo, inoltre, che il titolo dell’album, traducibile come “Il pifferaio alle porte dell’alba”, si ispira al romanzo per bambini Wind In The Willows di Kenneth Graham. E Syd, per certi versi, è rimasto prigioniero delle angosce tipiche dell’universo infantile. Si perderà poi tra i suoi deliri e i suoi acidi, ma anche dopo il repentino abbandono del gruppo, dovuto al suo tracollo mentale, il suo spirito esplorativo continuerà ad aleggiare e influenzare i dischi successivi dei Floyd, come se il suo estro fosse sempre presente tra gli ex compagni.

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