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Pubblicato il Agosto 7th, 2016 | by Roberto Paravani

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Steven Wilson – Hand. Cannot. Erase. (2015)

Tracklist
1. First Regret
2. 3 Years Older
3. Hand Cannot Erase
4. Perfect Life
5. Routine
6. Home Invasion
7. Regret #9
8. Transience
9. Ancestral
10. Happy Returns
11. Ascendant Here On…

Etichetta KSCOPE/CD

Durata 66’06”

Personell
Steven Wilson (vocals, mellotron, keyboards, guitars, bass banjo, hammered dulcimer, programming shaker, effects) ● Guthrie Govan (guitars) ● Nick Beggs (bass, Chapman Stick, backing vocals) ● Adam Holzman (piano, Hammond organ, celesta, Fender Rhodes, Wurlitzer, Moog synthesizer) ● Marco Minnemann (drums) ● Dave Gregory (guitars) ● Chad Wackerman (drums) ● Ninet Tayeb (vocals) ● Theo Travis (flute and baritone saxophone) ● Katherine Jenkins (spoken word) ● Leo Blair (solo vocal) ● London Session Orchestra (strings)

Dopo The Raven That Refused to Sing non era facile ripetersi e Wilson è un ascoltatore onnivoro che difficilmente si ferma per parecchio tempo nello stesso luogo: dove lo avrebbe portato la sua curiosità? La buona notizia è che Hand. Cannot. Erase. è un album diverso dai precedenti. La notizia meno buona è che è decisamente meno interessante rispetto a tutti gli altri lavori di Wilson. Il concept prende ispirazione da un fatto di cronaca: qualche anno fa a Londra fu ritrovato il corpo di una ragazza morta da circa tre anni, senza che nessuno tra parenti, amici e vicini, se ne fosse mai accorto. Da qui l’autore prende spunto per una storia di emarginazione e solitudine in un contesto metropolitano. Ai testi legati a questa vicenda come al solito viene integrato un progetto visivo che prevede, oltre all’artwork particolarmente accurato e ad alcuni video promozionali, lo sviluppo di un blog in cui la ragazza protagonista della storia racconta la propria vita. La musica tocca parecchi generi: c’è l’elettronica, il prog, il trip-pop, il pop da classifica, il metal, ci sono i Porcupine Tree meno psichedelici, le orchestrazioni di Dave Stewart (Egg, Hatflield and the North, National Health); molti elementi eterogenei. Forse troppi. Come troppi sono i minuti proposti quando l’ispirazione che li genera non è ai massimi livelli: se ad esempio Regret #9 è uno strepitoso strumentale in cui emerge tutto il talento degli strumentisti, Perfect Life è una canzoncina piuttosto piatta e banale. Insomma, la tensione emotiva non è sempre sullo stesso livello e le idee non sembrano tutte dello stesso spessore, nonostante gli interpreti siano più o meno gli stessi di sempre (Marco Minnemann alla batteria, Guthrie Govan alle chitarre, Nick Beggs al basso e stick, Adam Holzman alle tastiere). Spiccano però le assenze di Alan Parsons al banco di regia e quella del fiatista Theo Travis (a cui è concessa solo una breve apparizione) che coincide con un taglio secco di quella gustosità jazz che insaporiva le ultime composizioni. E’ chiaro che nel caso di Wilson il giudizio può essere condizionato dalle aspettative; il disco in se è sicuramente positivo e l’ascolto pur tra diverse pause, è più che gradevole. Ma l’acre sapore della delusione affiora fastidiosamente ad ogni ascolto.

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