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Pubblicato il Agosto 9th, 2016 | by Roberto Paravani

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Steven Wilson – The Raven That Refused To Sing (2013)

Tracklist
1. Luminol
2. Drive Home
3. The Holy Drinker
4. The Pin Drop
5. The Watchmaker
6. The Raven That Refused to Sing

Etichetta KSCOPE/CD

Durata 54’03”

Personell
Steven Wilson (lead vocals, mellotron, keyboards, guitars, bass guitar) ● Guthrie Govan (lead guitar) ● Nick Beggs (bass guitar, Chapman Stick, back vocals) ● Adam Holzman (keyboards, hammond organ, piano, minimoog) ● Marco Minnemann (drums, percussion) ● Theo Travis (flute, saxophone, clarinet) ● Jakko Jakszyk (additional vocals) ● Alan Parsons (haw-haw guitar) ● Dave Stewart (Strings arranged performed by the London Session Orchestra)

Nel febbraio del 2012 Steven Wilson convoca la sua band in uno studio di Los Angeles: questa volta la musica è stata già composta, pensando specificatamente al materiale umano a disposizione. Addirittura Luminol, la fantastica cavalcata dal sapore jazz-rock che apre l’album, è già stata eseguita più volte dal vivo. Con Wilson ci sono i soliti, squisiti musicisti che lo accompagnano ormai dai tour seguenti Grace for Drowning – Nick Beggs, Adam Holzman, Marco Minnemann e Theo Travis – con l’ormai abituale avvicendamento alla chitarra solista, di cui ora si prende cura l’ex Asia Guthrie Govan. Nell’arco di una settimana il disco viene registrato in una settimana, suonando dal vivo, faccia a faccia, e lasciando i compiti di produzione al pluridecorato Alan Parsons. Abbiamo quindi un Wilson concentrato sul ruolo di autore e band-leader, una band di talenti che dopo tanti concerti ha raggiunto affiatamento ed equilibrio, del materiale di prima scelta denso di spunti malinconici ed onirici e dall’andamento imprevedibile, sei testi che narrano storie soprannaturali di fantasmi. Il risultato finale è un lavoro che rappresenta il punto più alto di tutta l’intera carriera dell’autore: un prog-rock che si basa certo sugli insegnamenti dei grandi del passato come King Crimson e Pink Floyd, ma è assolutamente nuovo, secco, privo di certe masturbazioni tecniche del genere anche se è suonato da musicisti superbi, asciugato di quella magniloquenza trombonesca di cui in tanti si sono serviti, finalmente affrancato dal metal, spoglio di tutti quei cliché che continuano ad affogare le produzioni di molti gruppi contemporanei; e con una particolare cura del suono, contaminato felicemente da ciò che oggi propongono giovani gruppi operanti in aree quali elettronica, noise, industrial. In poche parole, un nuovo concetto di prog-rock.

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