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Pubblicato il Giugno 1st, 2017 | by Massimo Forni

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THE BEATLES – Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (1967)

Tracklist

Lato A
1. Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band
2. With A Little Help From My Friends
3. Lucy In The Sky With Diamonds
4. Getting Better
5. Fixing A Hole
6. She’s Leaving Home
7. Being For The Benefit Of Mr. Kite !

Lato B
1. Within You Without You
2. When I’m Sixty-Four
3. Lovely Rita
4. Good Morning Good Morning
5. Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (Reprise)
6. A Day In The Life


Personell
John Lennon – lead, harmony and background vocals, rhythm, acoustic and lead guitars, Hammond organ and final piano E chord, harmonica, handclaps, tambourine and maracas ● Paul McCartney – lead, harmony and background vocals, bass and lead guitars, electric and acoustic pianos, Lowrey and Hammond organs, handclaps, vocalisations ● George Harrison – harmony and background vocals, lead, rhythm and acoustic guitars, sitar, tamboura, harmonica, kazoo, handclaps and maracas ● Ringo Starr – drums, congas, tambourine, maracas, handclaps, tubular bells, harmonica, final piano E chord ● Sounds Incorporated – the saxophone sextet ● Neil Aspinall – tamboura, harmonica ● Mal Evans – counting, harmonica, alarm clock, final piano E chord ● George Martin – harpsichord, harmonium, Lowrey organ and glockenspiel, Hammond organ, piano, final harmonium chord


Siamo nel’67. Abbandonata l’attività concertistica, che rappresenta ormai per i Beatles un peso insopportabile, i quattro ragazzi di Liverpool si ritrovano nuovamente in sala di registrazione per dare alla luce un disco fortemente sperimentale, per certi versi epocale, tanto che qualcuno ha voluto datare con questa uscita discografica la nascita del progressive-rock…

Certo è che il lavoro compositivo si addice ai Nostri molto più delle esibizioni dal vivo, soprattutto perchè il “fenomeno Beatles” aveva rischiato di smarrire un po’ la sua cifra musicale per assurgere, a causa degli isterismi collettivi che ormai accompagnavano costantemente ogni concerto, a fenomeno giovanile di costume. Cinque mesi per portare a termine l’album rappresentano un fatto assolutamente nuovo per la band, che in precedenza aveva impiegato a volte poche ore per comporre qualche nuova canzone, magari in viaggio o in una stanza d’albergo. É giugno, siamo nella famosa “Estate dell’amore”: il 33 giri viene pubblicato il primo del mese nel Regno Unito (il giorno successivo negli USA) col titolo (del tutto insolito) di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (Il Complesso del Circolo dei Cuori Solitari del Sergente Pepe) e raggiunge rapidamente il primo posto delle classifiche britanniche e statunitensi. Si tratta di un’opera fortemente voluta da Paul Mc Cartney, la cui idea si fa strada nel corso di una sua vacanza nella West Coast, come pure il titolo, che si ispira ai nomi bizzarri di alcune band di Los Angeles. Un progetto inizialmente avversato da John Lennon e George Harrison e invece subito condiviso da Ringo Starr. La copertina (apribile e con i testi stampati all’interno, tra le prime del genere), un celeberrimo e autoironico fotomontaggio (in seguito fu oggetto di parodia da parte di Frank Zappa nel suo We’re Only In It For The Money) che mostra un folla di noti personaggi (come Albert Einstein, Marlon Brando, John Kennedy, Karl Marx e Cassius Clay) attorno a una tomba adorna di fiori e con la dicitura “Beatles”, vuole rimarcare una sorta di nuova nascita dei quattro musicisti (vestiti, per la verità, con un gusto decisamente kitsch, con grottesche uniformi dai colori vivaci), che prendono il posto dei “vecchi Beatles”, impersonati da quattro fantocci di cera.

L’entusiasmo che accompagna questo microsolco è grande, come pure le polemiche. Procediamo allora con ordine. L’entusiasmo della critica e dei fans c’è e non solo nel Regno Unito; forse è anche eccessivo, talvolta ingenuo. «Senza perdere l’estrosa originalità che ha in parte rivoluzionato la moda giovanile, il complesso è salito a un più alto livello di maturità, di esperienza e di arte» si legge nel Time. Il musicista Ned Rorem afferma che She’s Leaving Home (una delle 12 composizioni comprese nel disco, senza contare la ripresa del primo brano) «è paragonabile ad una romanza di Schubert». Il direttore d’orchestra Leonard Bernstein fa addirittura il nome di Schumann. Il musicologo Henry Pleasants sostiene che «I Beatles sono dove oggi è la musica». E la musica dei nostri si fa più complessa e fantasiosa, la libertà creativa piena e i ragazzi, da audaci esploratori, attingono a piene mani dalla psichedelia, dalle filosofie orientali, dal surrealismo, dalla musica indiana, dal rock, dai modelli classicheggianti e perfino dalle atmosfere degli Anni Venti. I limiti imposti dalla cultura dominante all’immaginazione devono essere superati e così prende vita artistica l’impensabile, compreso un frenetico climax orchestrale nel brano di chiusura A Day In The Life e una nota talmente acuta (incisa sul solco di uscita del disco) da poter essere udita soltanto da un cane. L’esito sarebbe stato anche superiore se nel vinile fosse stato inclusa anche la fascinosa Strawberry Fields Forever, come era nelle intenzioni, ma in America la Capitol Records fece pressioni affinché uscisse come singolo. I testi tralasciano quasi del tutto ogni aspetto di banalità. C’è chi fa notare che il Sergente Pepe «mette a nudo l’immensa solitudine e il terrore della nostra epoca solitaria»; e ancora: «I Beatles parlano in maniera esistenziale della mancanza di significato della realtà». Il fatto è gli artisti di Liverpool adesso non provocano più uno scontro generazionale, non sono più appannaggio esclusivo dei più giovani: non solo gli studenti universitari, anche genitori, professori e uomini di cultura li elevano a “profeti” dell’arte pop.

Con Sgt. Pepper tutto ad un tratto abbiamo scoperto che sono diventati nostri fans anche quelli che inizialmente pensavano di essere superiori… — GEORGE HARRISON

Ma, contrariamente a quanto sostenuto da molti, non si può parlare di un concept-album, anche se la ripresa della “title-track” può dare questa impressione: in realtà, non c’è un reale collegamento testuale tra i vari brani, come precisato anche dal celebre produttore George Martin

Non si trattava affatto di un concept-album; lo sembra e basta, perché io cercai di legare i brani l’uno all’altro più che potevo — GEORGE MARTIN

Come accennato, anche le polemiche non furono minori degli elogi. Sono infatti almeno tre le canzoni che finirono sotto accusa per presunti riferimenti alla droga: Lucy In The Sky With Diamonds, Fixing A Hole e A Day In The Life. Il primo dei tre brani, per quel particolare acronimo che si può comporre coi suoi sostantivi (L.S.D.) suscita non pochi sospetti. Se poi traduciamo qualche verso della canzone, come ad esempio quelli iniziali: «Immagina te stesso in una barca sul fiume, con alberi di mandarino e cieli di marmellata. Qualcuno ti chiama, tu rispondi con molta lentezza, una ragazza con occhi di caleidoscopio. Fiori di plastica gialli e verdi torreggiano sul tuo capo…», non è azzardato ipotizzare che John Lennon abbia composto una simile canzone sotto l’effetto degli allucinogeni. Eppure sarà lo stesso musicista a smentire il riferimento alle droghe e, memori della sua onestà intellettuale, che in altre occasioni lo ha condotto a svelare con gusto dissacratorio scomodi retroscena sulla vicenda dei Beatles, non resta che credergli. Il titolo, per ammissione dello stesso artista, sarebbe stato ispirato da un disegno del figlio Julian, che aveva ritratto la compagna di classe Lucy nel cielo con dei diamanti. Riferiamo incidentalmente che l’involontaria protagonista (da poco tempo scomparsa) ebbe modo di esprimere il proprio disinteresse per la circostanza, a differenza di Melanie Coe, la ragazza scappata di casa, protagonista di She’s Leaving Home, più che orgogliosa di essere stata immortalata. Per quanto riguarda Fixing A Hole, quei riferimenti al “tappare i buchi” ha indotto alcuni a ritenere che Paul Mc Cartney si fosse riferito ai buchi causati da iniezioni di eroina. Ed invece sembra ormai pacifico che il musicista parlasse dei lavori di restauro di una sperduta fattoria, quasi in rovina, acquistata sulla costa occidentale della Scozia l’anno precedente, luogo ideale per ritrovare tranquillità e sfuggire alle continue e asfissianti pressioni dei fans. E infine, A Day In The Life, da molti ritenuta la composizione maggiormente valida e rappresentativa dell’intero album (per qualche critico musicale è il capolavoro assoluto dei Beatles), il degno epilogo. Tra la seconda e terza strofa composta da John viene “incastrato” a perfezione un diverso e breve pezzo scritto da Paul negli anni precedenti: i richiami alle fumate e ai sogni sono davvero espliciti e lo stesso Paul, l’anno seguente, ammetterà di essersi riferito alla marijuana, così come confesserà di aver fatto talvolta uso (assieme agli altri tre colleghi) di LSD. Resta comunque il fatto che per molti anni questa canzone venne censurata dalle emittenti radiofoniche di diverse nazioni.

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Memorabile è anche Within You Without You, dalle magiche e profonde suggestioni, dagli interessanti e originali sviluppi strumentali, scritta da George Harrison (che si cimenta anche con il tamboura, strumento a corda dal lungo manico, senza tasti e dall’ampia cassa di risonanza) e registrata col contributo di musicisti indiani, alle prese con le tabla e il dilruba (strumento con lungo manico e tre o quattro corde suonate per mezzo di un archetto e diverse altre che vibrano per simpatia) e turnisti impegnati con violini e violoncello. Se vogliamo trovare un “neo” nel disco, è costituito da Good Morning, Good Morning, che rappresenta, a motivo della sua banalità, il punto artistico più basso del lavoro. «Una porcheria», è stata giudicata impietosamente (o forse, obiettivamente) da John Lennon, il quale eccede nell’ipercriticismo in altre circostanze, come nel caso di Being For The Benefit Of Mr Kite, una composizione dalle molte e gradevoli sfumature, considerata da Lennon una sorta di scarto.

Di Being For The Benefit Of Mr Kite non ne sono affatto orgoglioso, è stata una cosa fatta così, buttando giù le prime cose che mi sono venute in mente, giusto perché in quel momento avevamo bisogno di una canzone nuova — JOHN LENNON

Se il successo che accompagna quest’importante opera è enorme, non lo sono da meno le successive aspettative: la sensazione generale all’epoca è che i Beatles avrebbero in seguito ancor più spinto il piede sull’acceleratore nella via della sperimentazione, della complessità e che i futuri lavori sarebbero stati caratterizzati da un superamento della forma canzone. E invece, i Beatles, spiazzando tutti ancora una volta, ritornano con i dischi successivi alla semplicità. Non solo: lo spirito di squadra che si avverte in questo importante lavoro si dissolve rapidamente, per lasciare il posto a dischi che, sebbene validi, si caratterizzano, per molti aspetti, come la somma degli apporti individuali di ogni componente della band e non raggiungeranno il medesimo livello artistico. Resta, comunque, intatto il valore del disco, il suo fascino e la sua capacità di influenzare le future generazioni di musicisti. Nel 2004 la famosa rivista statunitense Rolling Stone ha proclamato Sgt. Pepper’s il miglior album di tutti i tempi.

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