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Pubblicato il Maggio 2nd, 2020 | by Paolo Formichetti

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The Enid (1976-1997)

Gli Enid sono una band inglese dalla carriera ormai più che quarantennale, autori di una ventina di album in studio oltre a una grandissima quantità di dischi dal vivo, compilation, singoli ed edizioni speciali per il fan club. Nonostante simili impressionanti numeri, non hanno mai raggiunto una notorietà realmente proporzionale agli indubbi meriti artistici, e sono stati sempre un po’ sottostimati dagli appassionati di rock progressivo. Il gruppo nasce per merito di Robert J. Godfrey, talentuoso musicista inglese i cui studi classici al Royal College Of Music e alla Royal Academy Of Music influenzeranno tutta la sua produzione musicale. Nonostante questa rigorosa formazione classica, nel 1969 il rock fa capolino nella vita di Godfrey che rimane letteralmente folgorato da un concerto dei Barclay James Harvest, ai quali si unisce poco dopo in qualità di arrangiatore delle parti orchestrali. Godfrey esce dalla band nel 1971 a seguito di contrasti con il manager del gruppo e nel 1972 firma un contratto con l’etichetta Charisma per la quale realizza il suo primo album solista THE FALL OF HYPERION (1974). La commistione tra rock e musica classica che caratterizza tale album rivela quella che sarà la cifra stilistica degli Enid che vengono fondati di li a poco, nell’agosto dello stesso anno.

In questa guida all’ascolto verrà presa in esame la prima parte della carriera della band: verranno pertanto analizzati tutti gli LP realizzati in studio che vanno dall’esordio fino a tutti gli anni ’90.




IN THE REGION OF SUMMER STARS (Buk Records, 1976) – La formazione iniziale degli Enid  comprende, oltre a Godfrey alle tastiere, Francis Lickerish e Stephen Stewart alle chitarre, Glenn Tollet al basso, Dave Storey alla batteria e Dave Hancock alla tromba. La composizione e la registrazione del primo album vengono completati nel 1975 e, un anno dopo, il disco viene pubblicato per la BUK records, etichetta collegata alla EMI. Il disco è un concept interamente strumentale basato sui tarocchi e gli scritti di Charles Williams e vede l’ispirazione classica di Godfrey perfettamente fusa con l’anima rock rappresentata dai rimanenti membri del gruppo. Dopo un’intro classicheggiante dominata dal pianoforte (The Fool) è infatti la chitarra elettrica a introdurre la bellissima The Falling Tower, il cui tema musicale dal sapore mediorientale è veramente indimenticabile, al pari di quello della successiva Death, The Reaper. The Lovers mostra l’abilità di Godfrey come pianista classico in un pezzo pervaso di grande romanticismo, mentre l’anima rock della band riaffiora prepotentemente in The Devil, che a tratti ricorda Una Notte sul Monte Calvo di Musorgskij. Il resto del disco si snoda su queste coordinate alternando interludi classicheggianti di grande dolcezza a tratti più tirati in un continuo gioco di rimandi e citazioni, che vanno da Mahler a Ravel, da Rachmaninov a Tchaikovsky. Da segnalare le numerose vicissitudini legate a questo album che, messo rapidamente fuori catalogo dalla EMI, non venne ristampato per anni a causa della perdita dei nastri originali dell’intero lato B. Nel 1984 Godfrey ne realizzò una versione autoprodotta che vedeva il lato A modificato con parti estese o aggiunte e titoli dei brani cambiati ed il lato B registrato ex novo. Nel 2010 è stata pubblicata su licenza EMI (etichetta Operation Seraphim) una versione conforme a quella originale.




AERIE FAERIE NONSENSE (EMI, 1977) – Dopo la pubblicazione del disco d’esordio, gli Enid riescono a procurarsi un discreto seguito grazie ad un’intensa attività live. Ben presto però iniziano problemi con il management e una serie di defezioni tra i musicisti, che fanno slittare la registrazione e la pubblicazione di nuovo materiale. Assunto un nuovo manager e ristabiliti i buoni rapporti con la EMI, la band pubblica alla fine del 1977 quello che è unanimemente considerato il suo album capolavoro. Il disco, interamente strumentale, è un concept incentrato sulle gesta del giovane cavaliere Roland e si apre, dopo un’atmosferica introduzione orchestrale (Prelude), con la gioiosa danza Mayday Galliard. Atmosfere medioevali impregnano anche la successiva, pacata, Ondine che sfuma nell’epica e maestosa Childe Roland, nella quale il piano e l’orchestra sinfonica si fondono magicamente con le chitarre elettriche ad evocare immagini di epiche battaglie tra cavalieri. Il vero capolavoro è tuttavia racchiuso nella seconda parte del CD ed è la lunga Fand, che in origine occupava l’intero lato B del vinile. La suite è basata sul poema “The garden of Fand” scritto nel 1916 da Bax ed è sicuramente una delle cose più belle che il progressive abbia mai prodotto, pur risultando più orientata verso la musica classica che non verso il rock, specie nella seconda parte, interamente orchestrale e con più di un rimando a Wagner. Anche per questo lavoro va segnalata la realizzazione, nel 1983, di una versione completamente riregistrata che, oltre a una diversa successione dei brani e titoli diversi, comprende una versione di Fand ampliata fino a quasi 30 minuti di durata. Ancora una volta nel 2010 è stata pubblicata su licenza EMI (etichetta Operation Seraphim) la versione conforme a quella originale.




TOUCH ME (Pye Records, 1979) – Dopo il successo del loro secondo album, gli Enid firmano un ricco contratto con la Pye Records, dalla quale ottengono persino uno studio di registrazione. La sfortuna è tuttavia in agguato, in quanto l’etichetta viene a trovarsi immediatamente in serie difficoltà finanziarie e inizia a fare pressioni sulla band perché produca materiale dal potenziale commerciale. TOUCH ME viene pubblicato nel 1979 e non è propriamente quello che si definirebbe una raccolta di singoli da classifica. Il brano di apertura, Humouresque, detta infatti la cifra stilistica dell’intero lavoro: ancora una volta un geniale mix di rock e musica classica caratterizzato da arrangiamenti orchestrali ispirati e perfettamente amalgamati con tastiere e chitarre rock a creare affreschi sonori di grande suggestione. Cortege continua sulla stessa falsariga ed è in pratica il secondo movimento di una suite che comprendeva in origine l’intero lato A del vinile originale, mentre il breve e delicato pezzo per pianoforte ed orchestra Elegy rilassa i toni e contiene al suo interno una breve e curiosa citazione musicale di Old Friends di Simon & Garfunkel. La chiusura della suite è affidata alla movimentata Gallavant, ancora una volta ricca di riferimenti alla musica classica e a Strauss in particolare. Le ultime due tracce, corrispondenti al lato B del vinile originale, costituiscono la seconda suite del disco, intitolata Albion Fair che, se possibile, concede ancora meno alla componente rock in favore della classica, allontanando pertanto ogni residua velleità di riscontro commerciale in un’epoca in cui il rock sinfonico mostrava già di suo un inevitabile declino.




SIX PIECES (Pye Records, 1979) – Le esigenze economiche della Pye Records sono così pressanti che la band viene spinta a pubblicare nello stesso anno anche un secondo lavoro, SIX PIECES, realizzato con la consapevolezza che i rapporti con l’etichetta stanno arrivando al capolinea. Tale clima si riflette sulle composizioni, che si discostano dal tipico stile del gruppo: nel disco infatti non sono più presenti lunghe suite ma una serie di brani più brevi slegati l’uno dall’altro, il cui stile appare differente da quanto fino a quel momento realizzato. La traccia di apertura, Punch and Judy Man, è infatti un brano prog abbastanza gradevole ma decisamente rockeggiante e relativamente semplice come struttura, essendo basato più che altro su chitarre e tastiere e non su raffinati intrecci orchestrali. La successiva Once She Was è una versione del canto tradizionale Scarborough Fair reso universalmente famoso da Simon & Garfunkel, mentre la successiva The Ring Master è un brano abbastanza schizzato basato su melodie circensi, dove ancora le orchestrazioni vengono messe in secondo piano a favore della classica strumentazione rock. I brani successivi Sanctus e Hall of Mirrors sono ancora ottimi pezzi anche se privi della pomposità barocca caratteristica dei precedenti album mentre la conclusiva, rilassata The Dreamer fortunatamente permette di nuovo a Godfrey di mostrare il suo talento di raffinato arrangiatore.




SOMETHING WICKED THIS WAY COMES  (autoproduzione, 1983) – La definitiva rottura con la Pye Records crea problemi anche all’interno del gruppo, che subisce numerose defezioni riducendosi in pratica ai soli Godfrey e Stewart. La situazione è resa ancor più complicata dai conflittuali rapporti con la EMI, che rifiuta sia di ristampare i primi due album che di restituirne i diritti alla band. Godfrey e Stewart decidono pertanto di passare all’autoproduzione, si costruiscono uno studio di registrazione, e realizzano SOMETHING WICKED THIS WAY COMES, il loro album di maggior successo commerciale. Il disco, registrato con il solo ausilio del batterista Chris North, è un concept album sulla paura e i rischi di una guerra nucleare e vede per la prima volta l’inserimento di parti vocali. La novità si accompagna ad arrangiamenti meno classicheggianti, ad esempio in Raindown e And Then There Were None, probabilmente nel tentativo di migliorare l’appeal commerciale del disco, ma i risultati lasciano molto a desiderare almeno dal punto di vista artistico. Fortunatamente la maggior parte dei brani ci riporta verso lidi più familiari: Evensong e Bright Star sono pezzi discreti, Jessica ha belle melodie e un arrangiamento curato, mentre Song for Europe è un brano potente e ben riuscito. Nella title track che chiude l’album, tornano le parti vocali ma questa volta il brano è decisamente buono, malinconico e ricco di pathos.




THE SPELL (autoproduzione, 1985) – Il periodo successivo all’uscita di SOMETHING WICKED THIS WAY COMES vede la band impegnarsi in un’intensa e fortunata attività live allo scopo di raccogliere fondi per pagare i numerosi debiti accumulati. Nello stesso periodo nasce una sorta di fan club, chiamato all’inizio “The Enid Society” e successivamente “The Stand”. La battaglia contro la EMI per riavere i diritti dei primi album continua e si affianca a una campagna antinucleare che vede gli Enid accusare l’etichetta di finanziare la produzione di armamenti atomici. Godfrey riesce persino a convincere Michael Eavis, organizzatore del Glastonbury Festival, ad escludere dalla manifestazione le band sotto contratto con la EMI (anche se l’anno seguente le pressioni della label saranno tali da convincere Eavis a fare l’esatto contrario, escludendo gli Enid dal festival). La militanza ant-nucleare porterà la band ad essere persino messa sotto sorveglianza dai servizi segreti inglesi. Sul fronte musicale gli Enid producono una serie di album per il fan club e riescono finalmente a ristampare il loro intero catalogo, sebbene vangano costretti a ri-suonare alcune parti. Tra l’estate e l’autunno del 1984 iniziano le registrazioni di THE SPELL, album concept basato sul classico parallelismo tra le stagioni astronomiche e le stagioni della vita. Fortunatamente la cattiva strada intrapresa con il lavoro precedente sembra essere stata abbandonata e il disco è di nuovo un capolavoro, caratterizzato dal ritorno ad un approccio classicheggiante nella composizione, da melodie indimenticabili, da arrangiamenti curatissimi. Vere e proprie meraviglie sono le prime due tracce: Winter, contenente citazioni musicali del Parsifal di Wagner, e Spring, comprendente al suo interno una singolare parte di valzer decisamente ben riuscita. La successiva Summer vede di nuovo la presenza di parti vocali, ma siamo ben distanti dalle cadute di tono del disco precedente e il brano è decisamente valido, così come la successiva Autumn, che potrebbe benissimo reggere il confronto con una delle tante colonne sonore di J. Williams. Il disco si chiude in bellezza con l’istrionica Elephants Never Die, la malinconica The Sentimental Side of Mrs James.




SALOME (autoproduzione, 1986) – Dopo un 1985 tumultuoso, segnato da battaglie legali con gli ex compagni dei Barclay James Harvest per questioni di diritti non riconosciuti e royalties non corrisposte, Godfrey e Stewart entrano nuovamente in studio per registrare il settimo album degli Enid. un concept album basato sulla relazione tra Giovanni Battista e Salomè, pensato addirittura per accompagnare un balletto. Il disco appare stilisticamente abbastanza diverso dai lavori precedenti: l’avvento degli anni ’80 e dei sintetizzatori fanno evidentemente apparire datate composizioni classicheggianti e arrangiate con complesse orchestrazioni, per cui Godfrey e Stewart cercano di rinnovare un po’ lo stile Enid adattandolo ai tempi. I suoni orchestrali sono sempre presenti anche se spesso affiancati dalle tastiere, le percussioni assumono un ruolo di maggior peso e spesso ricamano ritmiche ossessive sulle quali si dipana un cantato ipnotico e tormentato. Le atmosfere si fanno molto più oscure e drammatiche e la solare magia che caratterizzava lo stile del gruppo sembra essere sparita. Pertanto risulta assai difficile entusiasmarsi per i diciotto minuti di Dance Music così come accadeva per The Fand, anche se bisogna riconoscere il valore di alcune tracce come la title track, dallo stile che ricorda vagamente i Japan, o la malinconica Sheets of Blue.




THE SEED AND THE SOWER (autoproduzione, 1988) – Il disco vede una line up radicalmente rinnovata che include Niall Feldman (basso), Damian Risdon (batteria e percussioni), Troy Donockley (fiati) e Geraldine Connor (voce) e segna la fine del sodalizio artistico tra Godfrey e Stewart con la fuoriuscita di quest’ultimo dal gruppo. Il lavoro è per l’ennesima volta un concept album, questa volta basato sull’omonimo libro di Laurens Van Der Post che narra la sua esperienza di prigioniero in un campo di concentramento giapponese durante la seconda guerra mondiale. L’apertura è affidata a Chaldean Crossing, buon brano pregno di influenze orientali che, nel suo lento crescendo, può ricordare vagamente alcune cose del Pat Metheny Group, mentre A Bar of Shadows vede le orchestrazioni di Godfrey e la lancinante chitarra elettrica di Stewart ricamare nuovamente quelle melodie dolcissime che hanno reso famoso il gruppo. La traccia si fonde con la successiva La Rage, che ne riprende alcuni temi in chiave ancor più sinfonica e con un incedere drammatico degno di Musorgskij. Il mood classicheggiante continua anche nelle tracce successive tra le quali va segnalata Earthborn, unica cantata, e la bellissima, struggente, Reverberations: un gioiello incastonato in un disco veramente valido, che rappresenta un’ennesima grande prova della band.




TRIPPING THE LIGHT FANTASTIC (Mantella Records, 1994) – Dopo l’uscita di THE SEED AND THE SOWER gli Enid tengono due concerti di addio al London Dominion Theatre durante i quali registrano il live FINAL NOISE. Sciolto il gruppo, Stewart si ricicla come ingegnere del suono mentre Godfrey si dedica a nuovi generi musicali, iniziando una collaborazione con alcuni giovani musicisti con i quali realizza brani commerciali arrivando perfino a riarrangiare pezzi degli Enid in chiave acid-house. La cosa ovviamente disorienta e scontenta i fan tanto che il gruppo si vede costretto, nel 1991, a cambiare nome in Come September. L’esperienza si rivela tuttavia tutt’altro che fortunata e nel 1993 Godfrey riforma gli Enid con Nick May alle chitarre e Steve Hughes alla batteria. Con questa line up viene pubblicato, nel 1994, TRIPPING THE LIGHT FANTASTIC. Il disco è per l’ennesima volta un concept, questa volta dedicato alla meccanica quantistica. La traccia di apertura, Ultraviolet Cat, non è certo quel che si dice un buon inizio in quanto, con i suoi loop e la sua batteria elettronica, risente pesantemente dell’esperienza Come September e non è certo in grado di titillare le papille gustative dell’appassionato di prog. Fortunatamente inizia ad andare molto meglio già con le successive tracce, la dolce Little Shiners, e la potente Gateway che richiamano i fasti del passato pur vedendo un netto prevalere dei sintetizzatori sugli antichi suoni orchestrali. Tale cambio di sound contribuisce a dare un tocco di modernità agli arrangiamenti che si fa apprezzare non poco anche se le complesse orchestrazioni e i richiami alla musica classica, tradizionale marchio di fabbrica della band, fanno nuovamente capolino nella sinfonica title track e, ancor di più, nella successiva Freelance Human, sorta di romantico concerto per piano ed orchestra che lascia ancora una volta trasparire l’immenso talento di Godfrey come musicista classico. Le influenze elettroniche tornano a farsi sentire in Dark Hydraulic, che fortunatamente ricorda più i Tangerine Dream che i Come September, con risultati quindi accettabili per i fan storici. Il finale dell’album è affidato a The Biscuit Game, pezzo sinfonico dal feeling tetro e drammatico. Si chiude in bellezza un disco che, pur contenendo alcuni elementi innovativi, di certo non rappresenta una totale rivoluzione nello stile del gruppo.




WHITE GODDESS (Mantella Records, 1997) – Nel 1995 la causa intentata contro i Barclay James Harvest si conclude con un accordo tra le parti che però non frutta a Godfrey i guadagni sperati. Gli Enid attraversano numerosi cambi di formazione e si esibiscono in numerosi concerti tra cui alcuni nella prestigiosa Royal Albert Hall di Londra. Alla fine del 1997 viene completato WHITE GODDESS, concept album “ecologista” dedicato al lavoro di Robert Graves. L’ispirazione classica del disco è facilmente intuibile scorrendo i titoli dei brani e già ascoltando le melodie malinconiche della seconda traccia, Fantasy, ci si trova trasportati ai  fasti di AERIE FAERIE NONSENSE. Il brano è infatti bellissimo e detta la cifra stilistica dell’intero lavoro: definitivamente accantonati i suoni elettronici e le sperimentazioni, Godfrey realizza infatti un attesissimo ritorno alle origini facendo in definitiva quello che meglio gli riesce e che i fan mostrano di apprezzare maggiormente, cioè comporre brani sinfonici, profondamente legati alla tradizione classica, in cui le chitarre elettriche si sposano magicamente con complessi arrangiamenti orchestrali. I brani successivi proseguono su questa falsariga con un livello qualitativo che si mantiene elevato e costante per l’intera durata del disco.


 

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