Pubblicato il Giugno 7th, 2017 | by DDG
0Syd Arthur: Il calore del sole, da Canterbury a Roma
I Syd Arthur sono una delle migliori nuove band inglesi, capaci di mescolare in maniera personale prog, psichedelia, jazz e stile canterburiano dentro canzoni pop dalle melodie memorabili: qualche settimana fa abbiamo già pubblicato una guida alla loro discografia, che deve ora essere aggiornata col nuovo EP live “virtuale” LIVE IN BRIGHTON, pubblicato sul web dall’etichetta personale della band, Dawn Chorus Recording Company.
L’EP dà seguito a SYD ARTHUR MAP #1 (2015), uscito come lussuosa chiavetta USB carica di foto, video e registrazioni dal vivo del tour americano effettuato come supporto agli Yes: nonostante il contratto con la Harvest, i Syd Arthur hanno mantenuto il loro approccio indipendente, e non è una sorpresa vedere come abbiano trasformato la Dawn Chorus Recording Company in un veicolo per i prodotti destinati alla comunità dei fan, o scoprire che dietro agli account della band sui vari social network c’è il bassista Joel Magill (fratello di Liam – chitarra e voce, e di Josh – batteria, col polistrumentista Raven Bush a completare la formazione). Joel è stato felice di fare una chiacchierata via Skype per parlare di Syd Arthur, APRICITY, USA, Italia e altro ancora…
Nella nostra guida abbiamo già sottolineato il vostro approccio “fai-da-te” (DIY)…
Ho visto la guida, grazie per averla pubblicata!
…e l’idea di chiedere un finanziamento alla fondazione della Performing Right Society (parente inglese della SIAE, il cui programma “PRS for music” serve proprio a promuovere la crescita professionale delle nuove band inglesi e scozzesi, NDA), per provare a utilizzare il vostro debut album ON AND ON (2012) come biglietto da visita con gli “scout” presenti al South By South West (SXSW) di Austin, è un bell’esempio di questo approccio…
In realtà a portarci al SXSW nel 2013 è stata una serie di eventi: all’inizio avevamo autoprodotto ON AND ON nel Regno Unito, ed eravamo riusciti a ottenere abbastanza supporto e notorietà da riuscire a convincere la PRS a finanziarci per consentirci di andare a Austin. Poi, là siamo stati così fortunati da essere visti dagli scout della Harvest, e abbiamo incontrato alcuni amici che sono poi rimasti con noi fino a oggi…
Quindi, siete passati dall’indipendenza/DIY alla Harvest…
Sì, ma la Harvest è stata grandiosa nel lasciarci il pieno controllo artistico. Venendo dal DIY, abbiamo fatto in modo di coordinare tutti gli aspetti di quello che facciamo.
All’epoca di ON AND ON eravate già in grado di vivere di musica?
Sì, credo che già all’epoca lavorassimo soltanto come Syd Arthur… e il successo iniziale di ON AND ON ci ha permesso di dedicarci a tempo pieno alla band.
In quel periodo, a un giornalista che ti chiedeva come ti immaginassi i Syd Arthur nei 5 anni successivi, rispondesti “…a fare concerti in giro per il mondo davanti a folle abbastanza grandi, con altri 2-3 incredibili album alle spalle!”. Direi che ci siete, grazie anche a un nuovo “incredibile album” come APRICITY, in cui i tempi dispari e le atmosfere psichedeliche che vi caratterizzano si sono evoluti in maniera naturale in un suono più rock…
Il processo di creazione di APRICITY è stato interessante: credo che l’evoluzione sia avvenuta in maniera naturale durante le fasi di scrittura e registrazione. Quando Josh ha sostituito alla batteria Fred Rother (uscito dal gruppo per problemi di udito prima dell’inizio delle registrazioni di APRICITY, NDA), il nostro sound si è dovuto evolvere in qualche modo verso quello che sarebbe diventato lo stile di scrittura di APRICITY.
Jason Falkner è quasi una leggenda per i fan della musica pop, ha lavorato con artisti pop come Beck, Air, addirittura Paul McCartney: il collegamento con i Syd Arthur non sembra banale, siete stati voi o la Harvest a proporlo come produttore?
È stato grandioso conoscere Jason e lavorare con lui, è davvero un grande! In effetti, non conoscevamo i Jelly Fish, né avevamo mai notato qualche suo lavoro, finché non ce lo ha segnalato il nostro amico Rick Crim della Sony/ATV. Lui lo aveva incontrato qualche tempo prima, e siccome pensava che potessimo piacergli, gli aveva fatto sentire la nostra musica. Dopo di che, le cose sono andate avanti, abbiamo coinvolto la Harvest, e siamo volati a Los Angeles nel suo studio qualche giorno per vedere se la collaborazione poteva funzionare.
Beh, ha funzionato, in effetti! Nel disco si nota un grande sviluppo nei suoni, tanto che quando senti brani come Rebel lands dimentichi completamente le complessità dei tempi, a favore di una naturalezza quasi “rock”…
Lavorare con Jason è stato eccezionale, resterà sempre un nostro amico. Lo abbiamo coinvolto in tutto il processo realizzativo, più su alcune canzoni che su altre, dato che comunque avevamo registrato i demo di tutto il disco prima di incontrarci, quindi alcuni pezzi erano già pienamente sviluppati. Su alcuni brani il suo apporto ha permesso di dare una forma al tutto; per esempio, in una delle canzoni più recenti, No Peace, dove Jason ci ha aiutato anche nell’arrangiamento. No Peace è stata in effetti l’unica canzone che non esisteva come demo prima che lavorassimo con lui su APRICITY.
…anche se pure nei dischi precedenti avevate dimostrato la vostra capacità nel far suonare naturali costruzioni in realtà complesse, come le strofe con i tempi diversi (in 6 e in 5) di Garden of Time…
Noi non cerchiamo mai consapevolmente di scrivere in tempi dispari o anomali, è una cosa che ci viene naturale quando scriviamo… e mi fa piacere che questa “naturalezza” si noti!
Il vostro stile è in qualche modo nel mezzo tra Canterbury, prog e psichedelia… però rispetto ai vostri “antenati” canterburiani come i Caravan, le vostre canzoni sono meno solari, più malinconiche e psichedeliche…
Sì, non siamo mai stati influenzati solo dal Canterbury: penso che siamo in effetti abbastanza psichedelici, nel senso più autentico del termine…
…nel senso della musica psichedelica moderna, diciamo: ad esempio si colgono somiglianze tra voi e gruppi come i Tame Impala…
Beh, noi siamo influenzati anche da tantissima musica attuale, quindi sì, in effetti anche io vedo dei collegamenti di questo tipo…
Nella guida avevamo raccontato di come Hometown Blues sembri una dichiarazione sulla necessità di lasciare Canterbury, o forse anche il Regno Unito, per far crescere ancora i Syd Arthur: in questo senso, come è stata l’esperienza negli USA?
Gli Stati Uniti sono stati fantastici per noi. È fantastico essere in tour negli USA, là amano veramente la musica! E ci sono veri appassionati di musica ovunque tu vada… Tra qualche giorno, comunque, verremo anche in Italia! Le date sono 9 giugno, Covo Club a Bologna; 10 giugno, Bastione Sangallo a Fano; 11 giugno dai nostri amici del Nova Bar a Barchi, e poi due festival a luglio – il 12 allo Sherwood Festival a Padova, il 14 allo A Night Like This di Chiaverano… ma ci piacerebbe venire anche a Roma! Qual è il posto migliore per una band come noi? Per il nostro primo spettacolo a Roma stiamo cercando un posto intorno ai 200-300 posti…
Intervista realizzata il 26 maggio 2017