Live report

Pubblicato il Agosto 29th, 2016 | by Lorenzo Barbagli

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SPOCK’S BEARD + ANGLAGARD – Veruno Progfest – 06/09/2014

Se esiste un paradiso dei prog fan, un suo pezzo si è palesato sabato a Veruno per una imperdibile serata che ha visto sullo stesso palco Spock’s Beard e Änglagård…

Gli organizzatori del festival prog di Veruno (NO) quest’anno sono riusciti in quello che si potrebbe definire il classico “colpaccio”. Senza nulla togliere alle altre band coinvolte nelle tre serate in cui si è svolto il festival, la seconda, quella del 6 settembre, è stata un vero e proprio evento grazie all’arrivo, per la prima volta in Italia, degli svedesi Änglagård e accanto a loro di un gruppo di “richiamo” come gli Spock’s Beard. Entrambi progressive rock, ma con due linee stilistiche nettamente differenti.

Gli Spock’s Beard hanno iniziato il loro set con due cavalli da battaglia del passato: Day for Night e Beware of Darkness. Una partenza alla grande. Lo show continua pescando giustamente dall’ultimo album (Hiding Out, Something Very Strange, Submerged), ma anche da Kindness of Strangers (Harm’s Way, In the Mouth of Madness) e Snow (con l’esecuzione del medley Made Alive/Overture, Devil’s Got My Throat e Carie) che sono forse gli album peggiori dell’era Morse. Con un vocalist esperto come Ted Leonard degli Enchant si va praticamente sul sicuro, ma quando il batterista Jimmy Keegan impugna il microfono per cantare la romantica Carie sorprende un po’ tutti per la sua competenza anche nelle vesti di cantante. Impeccabili nell’esecuzione, con un Alan Morse gigione come non mai e un Ryo Okumoto scatenato (anche se in ogni pezzo ripete all’infinito l’assolo di tastiere di Roundabout) e un Dave Meros che opera in disparte con grande mestiere, è difficile dire oggi cosa siano gli Spock’s Beard: forse più AOR che progressive. Per fortuna chiudono il set molto efficacemente con la lunga suite The Healing Colors of Sound, ancora tratta da Day for Night.

Alle 23.30 circa arriva la volta degli Änglagård, presentandosi sul palco con la nuova formazione che ha visto il clamoroso rientro del membro fondatore Tord Lindman e l’inclusione dei due Brighteye Brison Erik Hammarström alla batteria e Linus Kåse alle tastiere e al sassofono soprano, in sostituzione rispettivamente di Olsson e Engdegård. Dopo l’incredibile concerto degli Echolyn a Roma nel 2005 pensavo che non avrei più rivisto una band tanto affiatata quanto spettacolare dal vivo. Invece con gli Änglagård la cosa si è ripetuta. Non ci sono superlativi o parole che possano rendere l’idea per descrivere quello di cui è capace questo gruppo dal vivo: semplicemente, la perfezione. A parte l’esclusione di Jordrök, la scaletta è stata, in sostanza, la stessa del live giapponese immortalato di recente su disco. Si è iniziato con la nuova e molto astratta Introvertus Fugu (Den Asociala Blåsfisken) che, senza alcuna sosta, si è collegata direttamente a Höstsejd per proseguire con Längtans Klocka, dove nel finale c’è stato spazio per un gustoso e divertente duetto di sassofoni tra Anna Holmgren e Kåse. A questo punto il gruppo si è fermato un attimo per prendersi la sua meritata dose di applausi. Sorgmantel, se possibile, raggiunge l’apoteosi del concerto: un controllo delle dinamiche pazzesco, si passa dal pianissimo al forte in un battibaleno e nel caos al centro del pezzo la Holmgren incrementa il baccano con palloncini e lingue di Menelik. Finora è stato un brivido continuo. Dopo tanto tempo ecco poi Kung Bore, riproposta con le linee vocali di Lindman e il concerto va a concludersi con Sista Somrar. Lindman ha sopperito alle parti di chitarra in maniera esemplare dopo la sua lunga assenza (imparando ex novo quelle di Viljans Öga) e i due nuovi arrivati sono delle ottime sostituzioni, anche se rimane la curiosità delle scintille che avrebbe fatto il possente basso di Johan Brand in coppia con la batteria virtuosa di Olsson. Per ora poco importa, il pubblico richiama gli Änglagård a gran voce sul palco, ma, al di là della loro volontà, si è sforato fino all’una e il tempo a disposizione è purtroppo scaduto. Gli Änglagård si ripresentano solo per salutare, ma s’intuisce che avrebbero avuto anche loro piacere nel concedersi di più. Personalmente li avrei ascoltati anche tutta la notte, ma è andata bene anche così. Per ora facciamoci bastare questo piccolo assaggio di paradiso sceso dal “Giardino degli Angeli”.

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